Fantasia e dubbio: i motori del pensiero

Di: Paolo Nunziante
3 Gennaio 2011

In Italia gli studenti universitari delle Facoltà scientifiche sono in crescente aumento, a discapito delle facoltà umanistiche, con qualche eccezione come Giurisprudenza. Questo perché? Per due principali motivi. Il primo, più banale da capire, per questioni di futuro, di lavoro. Le facoltà scientifiche sembra che abbiano più sbocchi lavorativi, perché sono più specifiche, più mirate. Per esempio le facoltà legate alle tecniche sanitarie, che prima erano tutte specializzazioni della facoltà di Medicina, ora sono separate. Ma il fatto che ci sia più lavoro è solo un’impressione. Il secondo motivo è la differenza concettuale tra le due branche di studi. Infatti tutto ciò che è scientifico dà più sicurezza. I numeri sono sempre quelli, fissi. La natura è così. Punto. Le Scienze danno stabilità in un periodo di crisi, le Lettere no. Le Lettere ti fanno prendere coscienza della crisi intellettuale e culturale di questi anni, causata principalmente dalla crisi economica. Le Lettere non ti danno stabilità. Anzi ti sbilanciano, ti danno uno spintone quando ti stai addormentando su di un filo come un funambolo, o sull’orlo di una rupe, per risvegliarti. Io intendo con Lettere tutte le facoltà umanistiche. Infatti le lettere, i grafemi, sono strumenti d’arte. Di creazione. Non sono mai fissi. I suoni si evolvono, le parole pure. In una frase non esiste la proprietà commutativa come in matematica. La creazione di un pensiero è una forma d’arte e varia da persona a persona.

Non voglio essere frainteso, non dico che chi studia in una facoltà scientifica non sappia ragionare o che si dedichi ad attività fini a se stesse. Tutt’altro. Si tratta di studi fondamentali per la società come lo sono, però, anche quelli propri delle facoltà umanistiche. Inoltre, le Lettere favoriscono un pensiero più instabile e cosciente delle molteplici strade che si possono percorrere per “salvarsi”. Offrono dunque maggiori possibilità di incontare e affrontare la crisi in maniera più critica, evitando di rimanere inchiodati nel circuito del comprare, produrre, guadagnare. Chi si dedica a studi più incerti, semòre in bilico, come nelle facoltà umanistiche, ha la possibilità di pensare perché si abitua a coltivare il dubbio. Il cervello si attiva, suda, lavora incessantemente per capire quale strada bisogna prendere, una pericolante, più lunga, ma piena di animali, piante e fiori; l’altra piatta, breve, apparentemente sicura. Bisogna capire a cosa portano. Con istinto solo apparentemente masochista si butta sulla strada meno frequentata, ma che conduce in un posto sicuro, un luogo dove si parla e si discute. L’altra invece porta a un baratro senza fondo.
Chi ha invece davanti solo la via apparentemente perfetta, non ha bisogno di pensare. Con il paraocchi si butta, correndo felice su quella strada. Dunque è proprio il dubbio, il dilemma che fa muovere il cervello. Proprio come funziona un circuito elettrico, dove si dà un passaggio di energia solo in presenza di una differenza di potenziale elettrico. E chi ha la possibilità, dunque, di pensare sceglie la via più paradossale, contro l’opinione comune.

Ma perché la gente non sa più pensare? Il principale motivo è la mancanza di fantasia. Il cervello di un adulto è come quello di un bambino. Funziona allo stesso modo: ha bisogno di fantasia come carburante. Certo, quello di un adulto ha più esperienza, ma i meccanismi sono identici. Ma perché c’è meno fantasia? Perché questa società che sembra viziarci, addormentarci in una dolce morte, ci dà già tutto pronto. Non dobbiamo più sforzarci di inventare, fantasticare. Anche le fantasie ci vendono. I sogni. I bambini che un tempo avevano la capacità di trasformare una penna in un’astronave e una caffettiera in una donna, ora non hanno più gli strumenti per farlo. Non che non abbiano più penne o caffettiere ma non possiedono più alcuna capacità di trasfigurazione, di invenzione. I bambini sapevano creare bestiari, elenchi di mostri con le loro facoltà, creavano eroi, storie. I bambini erano manestrelli. La fanciullezza era il periodo della vita in cui si poteva inventare tutto, senza freni. Ora invece non hanno bisogno di immaginare: mondi, mostri ed eroi sono già creati dai videogiochi. Non hanno neanche più bisogno di giocare al parco. Un nuovo mondo è stato creato per loro. Un telecomando in mano e muoversi nel vuoto. Allo stesso modo anche gli adulti possono non fare niente, se non lavorare, produrre e comprare. Non hanno bisogno di fare altro. C’è tutto per tutto. Più nessuna inventiva. Solo l’arte resiste. C’è una piccola differenza però tra bambino e adulto. Il bambino sente il bisogno di inventare per giocare. L’adulto non sente niente, è narcotizzato, drogato, assuefatto dal presunto vizio dolcemente somministrato dalla società che uccide l’uomo. Ci porta al baratro senza che ce ne accorgiamo. E cadiamo giù. Ma siamo sempre più felici perché pensiamo di volare. Questa società ci ha fatto credere confondendoci che non ci sia differenza tra volare e cadere. Ora abbiamo il vuoto come meta. Il Niente assoluto. Nichilismo. Mai la società è stata così nichilista. Ma se ci togliessimo tutti i paraocchi, vedremmo che davanti a noi non c’è l’unica via che ci porta dritti dal Minotauro, ma tante vie. E in questo labirinto l’uscita non è una sola. Ma Arianna è morta o ci ha tradito e ci ha messo il paraocchi. Allora il filo dobbiamo trovarlo noi, mentre cerchiamo la strada per chi ricapiterà nel labirinto. Avere fantasia per volare, anche più vicino al sole, più di Icaro, verso un sole sempre più freddo. Una stella ghiacciata. Oppure pensare che volare lo si può fare anche di notte insieme ai gufi e ai falchi. E riscoprire l’inventiva, la fantasia. E viaggiare verso Oriente. Come i monaci medievali Gugliemo di Rubruck, Giovanni di Pian del Carpine San Brendano e molti altri. Nei mondi reali o fantastici delleVisiones, popolati da animali e mostri. Proprio come farebbe un bambino.

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