La memoria come risorsa ermeneutica: ricordo, oblio e senso del vissuto

Di: Daria Baglieri
27 Luglio 2019

 

«Ut nihil non iisdem verbis redderetur auditum»1: citando a memoria questo passo tratto dalla Naturalis historia di Plinio il Vecchio, Ireneo Funes accoglie il lettore che, introdotto da Borges, si reca a fargli visita. Un dettaglio sorprende il narratore: Funes non conosceva il latino, e la sua unica fonte di apprendimento erano stati dei testi studiati e restituiti al proprietario «quasi immediatamente»2. A seguito di un incidente Funes ha smesso di dimenticare e il presente è diventato «quasi intollerabile per la sua ricchezza e nitidezza, così come i ricordi più antichi e banali»3.
Dietro il personaggio di Funes – che è uno dei mille modi in cui Borges declina il tema dell’infinito – non si cela l’elogio di una memoria perfetta. Funes nasce per mostrare quanto nuocerebbe alla mente umana non avere un limite, ed è perciò la figura dell’importanza della nostra costitutiva finitudine. Nella mente di Funes, infatti, si annida un fiume di dettagli in piena che lo occupa senza sosta, e che perciò non gli permette di porre in relazione un oggetto con un altro, né con sé stesso in istanti diversi. Le differenze, che Funes pure rileva, sono il motore del ragionamento critico, dinamico, capace di discernere gli elementi dell’esperienza e di astrarne le analogie. Indubbiamente, perciò, senza rilevare le differenze il pensiero umano rimarrebbe bloccato a uno stato primordiale, una mera “certezza sensibile”; ma ogni ente, nella pluralità delle sue manifestazioni, va poi posto in relazione con gli altri enti, con la totalità del mondo e con la pluralità delle sue stesse manifestazioni, perché possa acquisire senso. Elaborare e sintetizzare le differenze, che certo sono indispensabili, in un’interpretazione complessiva della realtà che riconduca a unità le percezioni, è perciò la forma di intelligenza tipica dell’essere umano.

S. Leta, blues2, acrilico su tela cm 30×30

Senza respingere una delle tante eredità platoniche della civiltà occidentale, cioè la necessità di ricordare per comprendere la realtà, è allora fondamentale tenere presente che per esser chiara, de-finita, la conoscenza richiede sempre di essere circoscritta. E per questo la memoria ha bisogno di essere selettiva. L’oblio che gli esseri umani tanto rifuggono, accostandolo metaforicamente al buio e alla cecità dell’intelligenza, si rivela non l’antagonista del ricordo, ma la sua parte complementare. Ricordare significa anche dimenticare, e l’equilibrio di memoria e oblio è tanto più necessario se il suo ruolo più proprio è preservare una delle strutture costitutive dell’essere umano: la novità della dimensione futura. Per natura, infatti, siamo proiettati verso l’avvenire, e quest’apertura è la ragione profonda che ci spinge alla ricerca di un senso da dare al nostro stare al mondo – quel senso che Funes, incapace di dimenticare, aveva smarrito.
L’attività della memoria, evidentemente, non consiste nell’archiviare i ricordi e richiamarli in modo più o meno opportuno; questa è semplicemente una delle sue, pur importanti, funzioni. Più radicalmente, la memoria costituisce un dispositivo dell’intelligenza umana, cioè uno dei modi in cui la specie umana si orienta nel mondo secondo la sua peculiare natura semantica temporale, alternando ricordo e oblio come si alternano ritmicamente sistole e diastole del battito cardiaco: «fluire e stare, memoria e oblio, nuovo e “di nuovo” costituiscono dunque la sistole e la diastole del cuore teoretico dell’essere, del tempo»4. Senza memoria, infatti, sarebbe molto difficile stare al mondo: non potremmo contestualizzare le notizie di cronaca, o rievocare eventi collocandoli in un punto dello spazio e del tempo. Per converso, un eccesso di ricordi ottunde l’intelligenza. L’hanno messo chiaramente in rilievo le ricerche di Lurija, che notò nel soggetto dei suoi studi (passato alla storia come SS), un’elevata difficoltà di concettualizzazione. SS, cioè, non riusciva a sorvolare sui dettagli per restituire una visione d’insieme, che normalmente è quel che consente all’animale umano di sopravvivere5, e per questo tentò di sviluppare una «letotecnica»6 che potesse aiutarlo.

Gli stati di salute della psiche – sempre fragili – consistono anche nel mantenimento di un equilibrio spaziotemporale che è paredro di quello psicosomatico; consistono nell’evitare gli eccessi sia statici sia dinamici mediante l’armonia tra la durata pensata e la durata vissuta […] la ricchezza del presente come dispiegarsi qui e ora della materia consapevole e intenzionale, incessantemente aperta al nuovo, al divenire, al futuro7.

La memoria è inoltre una delle componenti essenziali dell’identità. Quest’ultima, infatti, ha sì una base genetica e si plasma sulle influenze storico-culturali, ma ciò che rende irripetibile un’esistenza sono i ricordi e le attese che in essa prendono forma, carne, vita. Per comprendere la natura dei ricordi, di conseguenza, non possiamo assimilarli a fotogrammi piatti e immobili proiettati dai sensi sulla bianca tabula rasadella mente. Non si tratta di Non si tratta di ricostruire fatti veri dai ricordi, ma di costruire ricordi autentici dai fatti. La ricostruzione mnemonica dei fatti non è mai davvero realistica, e ritenerla tale è adottare un punto di vista imperdonabilmente parziale, figlio non svezzato di uno scientismo positivistico che pretendeva di poter valutare esclusivamente in laboratorio le capacità mnesiche. Da esso derivavano anche le teorie del condizionamento classico e operante, che – basandosi sul principio della materialità del ricordo, per cui è sufficiente provare delle sensazioni per memorizzare – non tenevano conto delle caratteristiche specie-specifiche dell’essere umano.
Grave errore, questo, che esclude alcuni fattori cruciali e ineludibili ai fini della comprensione del processo di strutturazione della personalità che attraversa l’intero cammino della nostra specie: la neotenia (cioè la tendenza a ricercare la novità, che rende i tempi di adattamento e acquisizione dell’autonomia più lenti rispetto agli altri animali); l’immaginazione (dispositivo del desiderio e perciò dell’attesa); la corporeità. Quest’ultima non è da intendersi solo come Körper, cioè come specifico meccanismo di risposta emotiva all’ambiente, dettata dall’istinto di sopravvivenza. La corporeità è anche Leib, cioè corpo isotropo, vivo centro di gravità dei vissuti (Erlebnisse), e soprattutto «Zeitleib»8, cioè corpo scandito dai ritmi temporali, di ogni sua cellula come della cultura nella quale è inserito.
In quanto animale culturale, poi, l’umano è anche un animale ermeneutico: interpretare il mondo circostante e classificare positivamente o negativamente sapori, odori, suoni, movimenti e percezioni tattili è funzionale a garantire la continuità filogenetica e ontogenetica: «il mondo in cui siamo immersi è talmente complesso, difficile e pericoloso da non consentire la sopravvivenza di nessun umano che sia totalmente privo di passioni»9. Immediatamente legata alla dimensione culturale è infine la dimensione sociale; da essa una lettura dell’essere umano – sincronica o diacronica che sia – non può mai prescindere. Il legame tra filogenesi e ontogenesi non è facile da cogliere: la storia ha infatti frapposto tra noi e le nostre origini uno spesso strato di variazioni il cui esito è che la storia della specie riecheggia nella storia dei singoli non secondo una direzione perfettamente circolare, ma spiroidale, senza ripetizione dell’identico ma anche senza cesure nette.

S. Leta, The dead n10, acrilico su tela, cm 24

I due volti della memoria, il ricordo e l’oblio, sono dunque le due forze con cui gli esseri umani plasmano la loro esistenza individuale e collettiva. L’intera comunità umana, infatti, si muove in una rete di relazioni, «un groviglio di storie, intrecci, eventi concernenti la sfera privata o quella pubblica, che noi ci raccontiamo a vicenda con più o meno talento e convinzione»10. Questo è anche la cultura in senso ampio, intesa come sistema di simboli: il modo degli uomini per dare forma alla realtà e al tempo. È chiaro dunque che non ha nessun senso chiedersi se queste narrazioni siano vere o false, e da qui ritenerne alcune migliori, più credibili di altre; al massimo, sulla base dell’esistenza o meno dei fatti su cui sono costruite, si possono definire autentiche inautentiche.
Sul piano dell’esistenza individuale, inoltre, ricordare vuol dire specificamente investire di senso e conferire una collocazione temporale al dato neurale. Di per sé, «la “traccia mnestica” non è un ricordo»11fin quando a essa non viene conferito un senso, cioè un significato soggettivo. Ben lontana dall’aspetto cognitivo, questa è piuttosto la radice ontologica della memoria: finché c’è vita, c’è lavoro ermeneutico e inesauribile investitura di senso della significatività (che è già intrinseca alla totalità del mondo). In altre parole, se grazie alla funzione cognitivo-rievocativa della memoria il susseguirsi degli eventi può essere ripetuto sempre identico a sé, in virtù della sua struttura semantico-temporaleil loro senso per chi li vive non è mai definitivo.
Dalla prospettiva sin qui delineata, emerge che la memoria non è legata alla mera “registrazione” del ricordo, né possiamo intenderla come la basilare funzione di richiamo alla coscienza di tale ricordo esattamente come esso si è impresso. Inoltre, la memoria ha una dimensione di aspettualità che, attribuita al solo desiderio, spesso passa inosservata; il termine “memoria”, invece, è più ampio e comprensivo di “ricordo”:

il linguaggio comune utilizza il termine “ricordare” per indicare almeno due diverse prospettive temporali: ricordarsi cosa dobbiamo fare, cioè quali sono i nostri piani per il futuro, o ricordare eventi del passato, tipo un incidente, la faccia di una persona e così via12.

La prima accezione di memoria, che è quella a cui ci si riferisce solitamente quando si parla di “problemi di memoria”, è la memoria prospettica, ossia la «capacità di ricordarsi di fare qualcosa nel futuro»13. In generale, la memoria dichiarativa, e cioè l’insieme di memoria episodica, memoria semantica e memoria prospettica, è il luogo dei nostri ricordi consapevoli. Da questo insieme dipende in larga parte il nostro sguardo sulla realtà e la percezione della nostra vita in una prospettiva di lunga durata.
Ora, il mondo come insieme di possibilità di azione, su cui si edifica ogni prospettiva del futuro, si dischiude grazie alla distanza temporale tra l’evento e il ricordo, grazie allo spazio vuoto lasciato dall’oblio. Per questo, mentre la dimensione semantica dell’intelligenza umana si esplica nelle forme simbolico-culturali e identitarie della vita sociale e individuale, la dimensione temporale richiede un superamento della tradizionale concezione di passato, presente e futuro sia come successione cronologica che come distensio animi.
Nella concezione agostiniana, infatti, sembra che il presente “esploda” distendendosi nelle tre direzioni del passato della memoria, presente del contuitus (“contemplazione”) ed exspectatio (“sguardo fino a”, dunque “attesa”) del futuro; in tal modo, però, esse risultano unificate solo a posteriori, nell’interiorità dell’anima. L’assunto dell’equiprimordialità che precede il dispiegarsi delle tre estasi temporali è invece centrale per Heidegger, il quale, anziché pluralizzare una di esse – disperdendole così tutte -, considera ciascuna il punto di articolazione delle altre due nella struttura di avvenire essente-stato-presentante. Questa è l’originale caratterizzazione heideggeriana della temporalità del Dasein: una struttura risultante dal precorrimento del futuro, che ogni istante si presentifica sorgendo da un passato ancora vivo che ha sempre una domanda da porre al presente. Per Heidegger poi, come suggerisce efficacemente Ricoeur, il futuro è addirittura determinante in virtù del suo carattere di precorrimento. Non si tratta, infatti, di precorrere una tra infinit epossibilità (il che farebbe scadere il termine “possibilità” a schietto sinonimo di “opzione”, anziché lasciarla coincidere con la realtà stessa), ma di precorrere la morte (Sein-zum-Tode), che è la più propria delle possibilità perché limita tutte le altre: «l’implacabile finitezza del tempo del Dasein è ciò che dà il senso ultimo alla nozione inaugurale del “poter-essere-un-tutto”»14. La struttura del Sein-zum-Tode, tuttavia, non è pensata per svalutare o parentesizzare il presente, che anzi è per entrambi i filosofi la pienezza del vissuto.

S. Leta, Litorale 1, cm 40×20, acrilico e sabbia su legno

L’unità di passato, presente e futuro così concepiti spiega finalmente perché la memoria – l’altro nome della coscienza – sia costitutivamente legata alla finitudine e al limite di cui era emblema Funes. L’apertura al futuro, in condizioni di sanità psichica, è ben visibile: una normale capacità mnemonica ritiene e classifica ogni sensazione in una percezione15, cioè ogni dato acquisito tramite i sensi viene immediatamente rielaborato e già messo a disposizione del futuro. Ne consegue che una memoria sana porta strutturalmente con sé l’oblio insieme al ricordo, discernendo immediatamente ciò che è rilevante per agire nell’ambiente circostante e oscurando il superfluo. Il malato psichico, in altre parole, è un “negatore” del tempo, che preclude a sé stesso l’orizzonte delle possibilità future vivendo piuttosto in un presente ciclico e sovraccarico. Si perde così la capacità di cogliere le differenze che scorrono tra gli enti e tra gli eventi da un istante all’altro, mentre proprio da qui nascono significati che conducono all’identità del processo unitario, vitale e temporale, nel quale accadono.
Le tracce neurali, che da sole sono appena un dato per così dire “materiale”, allora, non possono costituirsi autonomamente in veri e propri ricordi se a esse non viene attribuito un senso che viene dall’esperienza vissuta. Semantizzare la traccia è allora rispondere alla domanda dell’essente-stato (Gewesen), quel passato che, interpellando l’ora, viene investito di un significato mutevole e costante al tempo stesso: «è l’inesauribile a chiedere che si ridica, che si riscriva, che si riprenda ancora e ancora la scrittura della storia»16.
Secondo Ricoeur, l’unico modo di redimere l’insensatezza didell’esistenza di cui non siamo artefici volontari e di cui nessun altro ci rende conto, è benedire questa condizione di gettatezza nel mondo e de-cidere, restituendo all’impronta il significato della sua origine. Inoltre, ben conoscendo la fenomenologia quanto l’ermeneutica, la psicoanalisi e l’esistenzialismo, Ricoeur individua nel linguaggio il punto di raccordo tra questi orientamenti, riconducendoli alla nozione di «coesione narrativa» erede della diltheyana Zusammenhang des Lebens (coesione della vita).
La de-cisione, il taglio che spezza la circolarità e vince sul dolore di una vita bloccata in un eterno presente, potrebbe allora consistere in un recupero della peculiare condizione di finitudine e temporalità del Dasein. Recuperando la consapevolezza della finitudine, è recuperata anche la consapevolezza dell’irreversibilità del tempo; riaprendo l’orizzonte del futuro, il Daseinsi riappropria del senso del suo vissuto e costruisce di volta in volta una nuova, prima impensata, prospettiva. Nell’aforisma 341 de La gaia scienza17, il recupero della concezione ciclica del tempo tipica dell’antichità e l’esperienza culturale del cristianesimo delle origini si sommano e quasi si completano a vicenda: il momento del perdono e redenzione dell’insensatezza, che per il cristianesimo si risolve nell’istante del trapasso dalla vita terrena a quella celeste, diventa in Nietzsche l’attimo immenso del καιρός, l’istante decisivo dell’esistenza in ogni suo momento: dinanzi alla porta carraia, il passato risignificato e il desiderio di «infuturamento»18 si influenzano ormai reciprocamente.
La dimensione narrativa della memoria andrebbe allora ripensata, sulla scia di Ricoeur, alla luce di un nuovo rapporto con il tempo e svincolata dal voto di fedeltà al reale:

ho osservato che la mia memoria non trattiene certe cose, e non può dimenticarne certe altre. Essa opera una cernita automatica. Orbene che cosa dimentica? – ciò che potrebbe essere altro senza inconvenienti per l’azione interiore dell’io nell’io19.

Solo così, infatti, corporeità e spaziotempo si coniugano nel καιρός, l’attimo che vince sull’infelicità di una vita incisa come un disegno sulla roccia. Il corpo, infatti, è sempre un corpo in azione, presente e aperto al futuro, per cui «nella memoria vivente il futuro plasma il passato»20 senza seguire necessariamente l’ordine convenzionale di passato, presente e futuro, «sviluppando in questo modo una temporalità di suo proprio diritto»21. L’immediatezza dell’esperienza vissuta (Erlebnis) torna a incastrarsi nel flusso dell’Erfahrung solo qui, nella pienezza dell’orainvestito di senso. Di senso, si badi, e non solo di significato:

il senso, infatti, non è il significato, il primo va molto oltre il secondo. […] La ragione di questa differenza è di natura temporale poiché mentre il significato può darsi come struttura linguistica generale, il senso è l’immersione del soggetto parlante in uno spaziotempo ogni volta specifico e diverso. Legato radicalmente alla temporalità, il senso costituisce la semantica della finitudine umana22.

Svelando il tempo alla coscienza, la memoria consente di non isolare il presente tra uno sterile non-più23 e un angosciante non-ancora, due grandi vuoti su cui si sospenderebbero attimi senza significato.
La memoria è insomma, in ogni sua accezione, il sensodella coscienza, che incarnandosi e fluendo nel tempo disseppellisce, immagina e rivitalizza le tracce mnesiche, in un chiaroscuro di ricordo e oblio che investe di significato il presente, identificando le risorse del futuro nell’«ultima riserva del passato, la migliore, quella che, quando tutte le lacrime sembrano inaridite, è capace di farci piangere ancora»24.
La dinamica di memoria e oblio ha perciò un ruolo fondamentale nello sviluppo del pensiero articolato, e Borges ha ben ragione di dire che ricordare è un «verbo sacro»25. Selezionare e ritenere le informazioni, per poi «riordinare nell’unità immanente della coscienza l’indefinita molteplicità degli Erlebnissein un unico flusso»26, ci fa essere umani. Non lo «scarico di immondizie»27di un annichilente profluvio di stimoli, ma gli spettatori attivi della meraviglia del mondo. Solo così è possibile riappropriarsi dei propri temp-ora28: accettando l’irreversibilità del tempo rispondendole con un’investitura di senso che invece è – deve essere– sempre mutevole, perché «è del significatol’essere transeunte, è della veritàl’essere nomade»29. Se «l’umano è un ibrido ermeneutico, per il quale e nel quale ogni elemento assume il suo senso soltanto in relazione all’intero»30, riappropriarsi del proprio tempo significa anche dare un senso al nostro stare qui e ora, alla finitudine che si disperde nel fluire del tempo su scale temporali per noi inimmaginabili.
Memoria e oblio, vita e morte, sono uno e due, identici e diversi, opposti e complementari. L’accostamento delle coppie memoria/oblio e vita/morte non è metaforico. È una prospettiva radicalmente diversa, quella della memoria come «vitamorte»31 dei ricordi, per cui mutando il modo di concepire la vita e la morte muta anche il modo di concepire la memoria e l’oblio:

in un caso [nel senso metaforico], la morte sta davanti a me e devo ricordarmi nel presente che un giorno dovrò morire; nell’altro [della morte come orizzonte e punto di definizione di ogni vita] la morte sta dietro di me e devo vivere nel presente senza dimenticare il passato che è in esso32.

Questa è infatti la dimensione fondamentale della vita: quella dell’apertura al futuro, alle tante nuove aurore che ancora devono venire, all’incessante riplasmarsi dell’esistenza individuale e collettiva.

Note
1 J.L. Borges, «Funes, l’uomo della memoria», in Finzioni[Ficciones, 1944], a cura di A. Melis, Adelphi, Milano 2003, p. 99.
2 Ivi, p. 98.
3 Ivi, p. 100.
4 A.G. Biuso, Aiόn. Teoria generale del tempo, Villaggio Maori Edizioni, Catania 2016, p. 106.
5 M. Mazzeo, Antropologia filosofica e filosofia del linguaggio, in F. Cimatti, F. Piazza (a cura di), Filosofie del linguaggio. Storie, autori, concetti, Carocci, Roma 2016, p. 367: «È solo grazie alla superficialità circa l’individuazione del dettaglio che gli umani possono cogliere il senso d’insieme della scena». Il riferimento è a Gehlen: «Il mondo dei sensi è dunque simbolico […] la non necessità dell’affidarsi alla possibile abbondanza e profusione delle cose che incidono dei nostri sensi, quest’esonero consente di cogliere panoramicamente intere aree di allusioni. Soltanto allora è possibile abbracciare con uno sguardo complessivo superfici alquanto estese, e la percezione, che così può ignorare le singole masse, si rende disponibile per prestazioni superiori, appunto panoramiche.» (A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo [Der Mensch. Seine Natur und seine Stellung in der Welt] 1978, trad. di C. Mainoldi, Feltrinelli, Milano 1983, p. 207).
6 H. Weinrich, Lete. Arte e critica dell’oblio [Lethe. Kunst und Kritik des Vergessens, 1997], trad. di F. Rigotti, Il Mulino, Bologna 2001, p. 144.
7 A.G. Biuso, Temporalità e Differenza, Leo S. Olschki Editore, Firenze 2013, p. 7.
8 Ivi, p. 86.
9 A.G. Biuso, La mente temporale. Corpo Mondo Artificio, Carocci, Roma 2009, p. 29.
10 M. Augé, Le forme dell’oblio. Dimenticare per vivere [Les formes de l’oubli, 1998], trad. di R. Salvadori, Il Saggiatore, Milano 2000, p. 48.
11 F. Cimatti, «Dimenticarsi. Corpo e oblio», in Aa. Vv., Oblio, a cura di W. Procaccio, Cronopio, Napoli 2016, p. 18.
12 C. Papagno, Come funziona la memoria, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 45.
13 Ivi, p. 179.
14 P. Ricoeur, Ricordare, dimenticare, perdonare [Das Rätsel der Vergangenheit. Erinnern – Vergessen – Verzeiben, 1998], trad. di N. Salomon, introd. di R. Bodei, Il Mulino, Bologna 2017, p. 27.
15 Cfr. R.Q. Quiroga,Borges e la memoria. Viaggio nel cervello umano da Funes al neurone di Jennifer Aniston [Borges y la memoria. Un viaje por el cerebro humano, de «Funes el memorioso» a la neurona de Jennifer Aniston, 2011], prefaz. di M. Kodama, trad. di R. Sardi, Erickson, Trento 2018, p. 126: «c’è una differenza abissale tra sensazione, che è lo stimolo visivo che ha effetto sui neuroni della retina, e percezione, che è il significato che diamo a questo stimolo».
16 P. Ricoeur, Ricordare, dimenticare, perdonare, cit., p. 50.
17 F. Nietzsche, La gaia scienza, Idilli di Messina e Frammenti postumi 1881-1882 [Die fròhliche Wissenschaft, 1882], trad. a cura di F. Masini e M. Montinari, Adelphi, Milano 1967, pp. 201-202: «Il peso più grande. Che cosa accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione — e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!”».
18 P. Colonnello, Fenomenologia e patografia del ricordo, Mimesis, Milano-Udine 2017, p. 119.
19 P. Valéry, Quaderni, vol. I, I quaderni. Ego. Ego Scriptor. Gladiator [Cahiers, 1973], a cura di J. Robinson-Valéry, trad. di R. Guarini, Adelphi, Milano 2009, p. 132.
20 H. Weinrich, Lete. Arte e critica dell’oblio, cit., p. 202.
21 Ivi, p. 203.
22A.G. Biuso, Temporalità e Differenza, cit., p. 90.
23 L’espressione “non-più” è qui da intendere nel significato tedesco di Vergangenheit, che indica il passato. Da questo si distingue l’espressione Gewesen, che indica invece il passato vivo, l’essente-stato.
24 J.Y. Tadié-M. Tadié, Il senso della memoria [Le sens de la mémoire, 1999], trad. di C. Marullo Reedtz, Dedalo, Bari 2000, p. 157.
25 J.L. Borges, «Funes, l’uomo della memoria», in Finzioni, cit., p. 95.
26 P. Colonnello, Fenomenologia e patografia del ricordo, cit., p. 36.
27 J.L. Borges, «Funes, l’uomo della memoria», in Finzioni, cit., p. 101.
28 A.G. Biuso, La mente temporale. Corpo Mondo Artificio, cit., p. 180.
29 Ivi, p. 204.
30 Ivi, p. 59.
31 A.G. Biuso, Temporalità e Differenza, cit., p. 8.
32 M. Augé, Le forme dell’oblio. Dimenticare per vivere, cit., p. 26.

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