Il tizio della panchina

Di: Paolo Nanni
3 Gennaio 2011

Cammino, di notte, come faccio spesso ultimamente. C’è un tizio su una panchina, distinto e occhialuto, legge il giornale in posizione un po’ sgraziata, a favore di lampione.
«Scusi, posso sedermi?»
faccio già per sedermi.
«No»
Rimango appeso a gambe piegate. Il tizio neanche ha distolto lo sguardo dal giornale.
«Ma, il posto è occupato?»
Non risponde. Mi scatta spontaneo un piccolo gesto di stizza e borbotto:
«Che bella serata!»
A questo punto il tizio con tono pacato, ma quasi infastidito di dover faticare tanto da articolare le parole, si degna di dire:
«No, non è occupato …almeno non per ora»
Sono rincuorato, che la cafonaggine abbia un limite. Mi avvicino e faccio di nuovo per sedermi.
«Allora mi siedo solo 5 minuti…»
«No»
Rimango di nuovo appeso. Con le gambe mezze piegate. Sono ridicolo. Perché mi sono fermato? Potevo, dovevo sedermi lo stesso. Ma ora è tardi. Mi sono già fermato, ha vinto. Non posso concepire di avergli permesso di infliggermi una tale umiliazione. Sto bollendo. Devo fare qualcosa.
Gli strappo il giornale dalle mani. Mi ricomprimo, con artificiosa calma chiedo:
«Posso sapere perché no?»
Stavolta mi guarda il tizio. I suoi occhietti dietro gli occhiali tradiscono una moderata sorpresa per il mio gesto cruento. Ma quando parla non perde il suo aplomb e il tono sempre altezzoso.
«Se mi restituisce il giornale le rispondo.»
Glielo porgo e lui lo prende al volo.
«Non può sedersi perché sono arrivato per primo…»
Mentre parla rimette a posto il giornale che ho osato sgualcire.
«…non può sedersi perché non la conosco e non mi fido di lei…»
Riprende a leggere come niente fosse e conclude:
«…non può sedersi perché per lei, non è essenziale sedersi.»
«Non è essenziale?»
Sono stupefatto.
«E lei cosa ne sa?»
Lui si gira e mi punta addosso quegli occhietti saccenti.
«Lo è?»
«Sì»
Ho risposto senza neanche pensare. Ok. Ma ho ragione: almeno ora è essenziale! Lui mi scruta per un secondo, si gira e torna a leggere.
«Non le credo, quindi non mi alzo.»
Ho un lampo, e uso la massima educazione che mi riesce.
«Ma io non voglio che si alzi…»
Sto diventando enfatico.
«…Assolutamente! intendo sedermi sullo spazio ancora libero»
E con le mani indico e disegno lo spazio libero della panchina, alla sinistra del tizio, che è più della metà! Lui lo guarda come se lo vedesse per la prima volta:
«Questo?»
«Eh!»
«Beh effettivamente, in questo momento non lo utilizzo…»
Senza neanche rendermene conto faccio un passetto speranzoso.
«…però, potrebbe servirmi»
Ecco, così imparo. Sono al limite. Odio questo coglione. Devo vincere la sua ignobile presunzione con l’arma dell’intelletto.
«Senta, le voglio fare una confidenza e una promessa»
Ora i suoi occhietti sono curiosi, si aggiusta i pesanti occhiali in antidiluviana celluloide tartarugata, aspetta che prosegua. Sfodero le mie doti attoriali.
«Confidenza: ho bisogno di sedermi solo un attimo, sono stanco, molto provato, è una notte…difficile per me»
Mi accorgo mentre lo dico che è la verità.
«Promessa: nel momento in cui le dovesse servire, non dubiti mi alzerò non appena me lo dirà»
Anche questa è verità. Sono sorpreso. E stavolta il tizio è colpito, mette via il giornale con un gesto ben studiato, definitivo. E mi rivolge completa attenzione, con gli occhietti e con tutto il corpo.
«Bene, bene. Lei si drogava o qualcosa del genere, e adesso però non la devo guardare male, giusto?»
«Che?»
«Tipico…»
Si alza in piedi. Ma resta sempre aderente alla panchina.
«Sono stato in comunità, spero che ora non mi togli il sorriso eh eh»
Sorride grottescamente, mezzo piegato in avanti, tende la mano verso un interlocutore invisibile. O mio Dio, sta proprio recitando, e questa pantomima rappresenterebbe me?
«Fai un’offerta per un pacco di fazzoletti, augurandoti che non ti venga il raffreddore»
«Ma che cazzo vuol dire?»
«L’artificio, la finta confidenza… questo mi dovrebbe far fidare di lei?»
Sbotta mezza risata gelida, si rimette a sedere.
«Al contrario! Mi fa capire che vuole solo ottenere qualcosa.»
«Ma io non voglio niente, voglio solo sedermi un attimo»
Ghigna saccente e non mi guarda.
«Si contraddice»
Sospiro. E comincio ad alzare la voce.
«Ok. Voglio sedermi, e non credo con questo di chiederle qualcosa che le appartenga…»
«Ah no?»
«No! Cristo, è mio diritto! questa panchina è di tutti»
«Ma ora ci sono io, e finché ci sono io, su questa panchina, io decido chi si siede e chi rimane in piedi»
«E le sembra giusto questo atteggiamento? Se fosse lei a stare in piedi?»
«Il giusto e lo sbagliato sono relativi. Poiché io non le credo»
«Cristo!»
Sto per diventare una furia. No, no. Dov’è la mia mente? eccola.
«Io, invece, voglio solo sedermi, questa è l’unica verità, e lei mi deve credere, deve! perché è la cosa più semplice e giusta da fare»
Ora mi guarda, abbagliato. Annuisce, si siede, e ricomincia a parlare con un tono di importanza estrema.
«Ora le faccio una domanda, ma lei mi deve rispondere al volo, subito»
Schiocca le dita.
«E se mi risponde subito, in modo chiaro, la faccio sedere…»
Pausa, mi scruta.
«Ha capito?»
Sono perplesso, lo guardo, poi nervosamente muovo i piedi in sintonia col respiro che non arriva al diaframma. Mi tocco i capelli come faccio sempre, purtroppo. Che cavolo di gioco gioca? Sono curioso, che domanda vuole fare? Con una certa titubanza rispondo:
«Sì, sentiamo»
E lui immediatamente:
«Spiacente, non ha risposto subito»
Torna al giornale, ineffabile, col placido compiacimento delle labbra che ho il tempo di contemplare mentre faticosamente ricostruisco e comprendo il suo tiro. Bene, lo ammazzo!
Rido feroce, lo prendo con entrambe le mani appena sotto il colletto e lo sollevo dalla stramaledetta panchina neanche fosse un fuscello.
«Sono stato paziente con lei, molto paziente, cercando di farla ragionare, nonostante è chiaro che lei è un idiota e un bastardo…»
Ho smesso di pensare. Il tizio è terrorizzato e bofonchia parole incomprensibili.
«Sta zitto! Forse questo è il mio problema. Forse è questo!»
Scrollo pesantemente questa massa tremante, gli occhiali cadono, il giornale pure, gli occhietti sprizzano orrore. Urlo come se lo dovessi uccidere a forza di onde d’urto.
«Ora indovina quali sono le mie reali intenzioni…Adesso te la faccio io una domanda, ma mi devi rispondere subito, senza esitazione…preferisci sparire con le tue gambe o preferisci che ti spacco il culo?»
Non mi accorgo della volante che intanto si è fermata. Il resto si può immaginare.

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