Lezioni di politica: una proposta didattica e non solo

Di: Giusy Randazzo
3 Agosto 2010

Concordiamo tutti, insegnanti e non, che l’Educazione civica sia importante al pari di qualunque altra disciplina. Eppure nella scuola è considerata ancella di poco valore della storia. E quando si studia, si studia poco e male, poiché è già debole nella sua base programmatica che prevede lo studio di nozioni aride e decontestualizzate. Questo giustifica l’ignoranza diffusissima sul nostro sistema istituzionale la cui rilevante complessità non invoglia i giovani ad avvicinarsi alla politica e non fa sperare in un apprendimento autonomo. Ai visi basiti di molti studenti alla lettura in classe di un quotidiano, si aggiunge il disorientamento dei docenti per l’assenza di strumenti didattici che permettano di coniugare in un quadro completo, per quanto complesso, ragioni storiche, mutamenti del sistema partitico/elettorale/istituzionale, alleanze, coalizioni, risultati, conseguenze; che permettano insomma di cominciare “dal basso”, senza trascurare nulla. L’obiettivo è ambizioso: rendere gli studenti politicamente consapevoli; consentire loro di poter divenire cittadini responsabili delle proprie scelte, al di là delle pressioni subliminali o esplicite, subite sia in famiglia sia attraverso la televisione sia dai docenti.

Per chi volesse tentare di portare l’Educazione civica a disciplina di prim’ordine, almeno nell’ultima classe della scuola secondaria di secondo grado, si consiglia un testo che convince già dall’introduzione: Il sistema politico italiano di Carlo Guarnieri.

Negli ultimi anni gli studi di scienza politica –e non solo di scienza politica- sul nostro paese si sono moltiplicati, rendendo un lavoro di questo genere più agevole e anche più urgente. […] si è deciso di privilegiare il processo politico in senso stretto e quindi di considerare soprattutto i modi con cui si formano le domande politiche, le modalità con cui vengono combinate fra loro e la loro eventuale traduzione in decisioni vincolanti (p. 7)

E in effetti, in alcune classi genovesi, la sua adozione spontanea e non imposta, durante l’anno scolastico, ha permesso di raggiungere risultati ragguardevoli sia in termini didattici sia di coinvolgimento personale. Per giustificare la durata dell’interesse dei ragazzi non è sufficiente far appello alle modalità didattiche utilizzate per proporre il testo, piuttosto la ragione più plausibile deve essere rintracciata nello strumento stesso, con il quale gli studenti hanno imparato a comprendere e a indirizzare la ricerca.

La struttura del testo, in quattro capitoli, ordina in modo snello e immediato l’evoluzione politica della nostra nazione dall’Unità alla Repubblica, dalla crisi del 1992 alla nuova legge elettorale. Il termine “Repubblica” è il leitmotiv che, come denominatore, ricorre in ogni titolo: prima della Repubblica; la Repubblica proporzionale; la Repubblica (quasi) maggioritaria; 2006 e oltre (verso quale Repubblica?).

Guarnieri analizza la formazione di tutti i gruppi politici sino ai giorni nostri individuandone sempre nel contesto storico le ragioni della nascita, dell’evoluzione, a volte della spaccatura, altre della fusione, altre ancora della scomparsa. Emergono, inoltre, nel testo alcune linee di continuità che spiegano l’evoluzione politica del nostro Paese: le dinamiche parlamentari, le leggi elettorali, i legami di parentela, la polarizzazione, il trasformismo.

La breve disamina, che segue, sui capitoli non ha la pretesa di fornire un quadro articolato e completo del testo, ma ha soltanto lo scopo di presentare alcuni degli argomenti trattati da Guarnieri, per poter suggerire al lettore qualche spunto di riflessione derivante dallo studio del saggio.

Dall’analisi dell’Italia liberale risulta evidente lo stato ancora embrionale delle istituzioni: il Parlamento bicamerale, con un Senato che gioca un ruolo minore; una dinamica politica bipartitica (Destra e Sinistra storica), pur non potendosi ancora parlare di partiti veri e propri; il Trasformismo, che allarga la maggioranza parlamentare e riduce la competitività.

Sembra che si cominci a comprendere, con la nascita del regime fascista, «consolidato al potere, grazie anche alla riforma elettorale maggioritaria del 1924» (p. 25) ma soprattutto con la fine della guerra, l’importanza sia delle leggi elettorali per l’esito delle elezioni sia di un controllo giudiziario delle leggi per evitare la deriva autoritaria. Le novità più rilevanti che porta con sé la democrazia repubblicana sono dunque due: l’introduzione «del controllo giudiziario di costituzionalità delle leggi dell’ordinamento italiano» (p. 33) che rompe in modo definitivo con il passato liberale; la nuova legge elettorale, «un sistema proporzionale a scrutinio di lista […] frutto di un accordo tra i principali partiti […] che premia evidentemente i partiti di massa, che dispongono di organizzazioni a livello nazionale» (p. 35), dei quali Guarnieri mette in evidenza «la capacità […] di indirizzare le preferenze degli elettori e di stabilizzarle» (p. 41). Per tale ragione si sofferma ad analizzare le diverse tipologie di voto: di appartenenza, di opinione, di scambio.

Nel 1992 il pentapartito, coalizione pro-sistema che aveva avuto un trionfo negli anni Ottanta, ottiene la maggioranza ma con un forte ridimensionamento della Dc. È l’anno di inizio delle indagini giudiziarie, che segneranno a fondo la vita politica italiana, e di un aumento della pressione fiscale conseguenza del deficit del bilancio pubblico e del Trattato di Maastricht.

Gli elettori si trovano di fronte ad un peggioramento netto della loro situazione economica, proprio mentre la magistratura sta mettendo in luce le ruberie della classe politica ed in particolare di quella di governo (p. 69).

Nel 1993 la legge elettorale cambia di nuovo, sostituita dal Mattarellum, dal nome del proponente Sergio Mattarella. Si tratta di leggi elettorali miste, «maggioritarie e proporzionali, anche se la componente maggioritaria tende a prevalere, dato che ad essa sono attribuiti i tre quarti dei seggi» (p. 72). Questa nuova legge spinge alla formazione di coalizioni. Il 1994 (anno in cui Silvio Berlusconi fonda FI) è l’inizio della Seconda Repubblica, «anche se da un punto di vista formale non ci sono state innovazioni costituzionali tali da poter individuare un radicale mutamento del regime politico» (p. 65).

La paura di Berlusconi di perdere le elezioni, di fronte a una sinistra che aveva dimostrato di raccogliere più voti nei collegi uninominali, lo spinge a modificare la legge elettorale (2005) che, pur non arrestando la tendenza alla formazione delle coalizioni, «introducendo alla Camera un premio di maggioranza sulla base dei voti raccolti a livello nazionale» (p. 90), abolendo i collegi uninominali e tornando alla formula proporzionale, in realtà rafforza il potere delle dirigenze di partito e favorisce la frammentazione delle coalizioni. In tal modo si preclude la strada allo snellimento del sistema partitico, possibile con la fusione dei piccoli partiti delle due coalizioni.

La Prima Repubblica era caratterizzata da un «pluralismo polarizzato», con la presenza di partiti antisistema (Pci) e coalizioni pro-sistema (pentapartito); nel nuovo sistema partitico la struttura della competizione assume una forma sostanzialmente bipolare.

Ambedue le coalizioni della Prima e Seconda Repubblica sono il risultato di negoziazioni o di trasformismo, ma mentre le prime non necessitano di un leader ma di un mediatore poiché non escono direttamente dalle elezioni (nessun partito della Prima Repubblica ha mai avuto la maggioranza in Parlamento), quanto piuttosto da «un processo laborioso di negoziazione fra i partiti», le seconde puntano molto sulle figure forti poiché giocano la loro partita durante la tornata elettorale.

Le maggioranze di governo della Prima Repubblica sono maggioranze deboli, non sorrette dall’investitura dell’elettorato né dal rischio di un’eventuale sanzione elettorale (p. 54)

Nelle elezioni del 2001, le due coalizioni, Ulivo e Casa delle libertà, ottengono il 97,6% dei seggi, dando luogo a ciò che non avveniva nella Prima Repubblica ovvero «una vera alternanza di governo con la maggioranza uscente che è sostituita completamente dalla nuova coalizione maggioritaria uscita dalle urne» (p. 86).

Altro aspetto messo in evidenza da Guarnieri è una particolarità del sistema politico italiano che si riflette sulle istituzioni nel loro complesso, ancora una volta con una differenza tra Prima e Seconda Repubblica: il rapporto che accomuna i partiti ai gruppi di interesse. I mutamenti del sistema politico avvenuti con la Seconda Repubblica hanno avuto un forte impatto sui legami di parentela, istituiti durante la Prima. Peraltro, dopo il 1996, i gruppi hanno compreso che il legame con uno schieramento può essere un vantaggio se lo schieramento si trova al governo, ma rivelarsi un handicap se si trova all’opposizione. L’unica possibilità è mantenersi equidistanti.

A conclusione, non si può non sottolineare che, sebbene il testo di Guarnieri sia stato qui presentato come un ottimo strumento didattico, il suo studio è consigliabile certamente ai giovani, ma anche –e, a volte, soprattutto- agli adulti, conoscitori o meno della politica italiana.

Carlo Guarnieri
Il sistema politico italiano
Il Mulino, Bologna 2006
«Farsi un’idea»
Pagine 128

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