Nietzsche e il metodo storico nella teoria di Darwin

Di: Giovanni Altadonna
4 Gennaio 2022

 

Stephen Jay Gould conduce, nel capitolo XI del monumentale volume La struttura della teoria dell’evoluzione, una significativa riflessione circa «l’importantissima proposizione di Nietzsche sul metodo storico»1. Non si tratta di una digressione peregrina. Il paragrafo dedicato a Nietzsche è collocato in posizione centrale all’interno di un capitolo che descrive l’itinerario di integrazione, nell’ambito della biologia evoluzionistica, tra funzionalismo e strutturalismo; a partire dalla “scienza della forma” di D’Arcy Thompson, fino alle formulazioni più recenti, da parte di Gould e colleghi, dei concetti di spandrel2 ed exaptation3.
Momenti fondamentali di tale percorso, esaminati in questa nota, sono il fondamentale concetto del «cambiamento funzionale bizzarro» (quirky functional shift)4 usato da Darwin nella sesta edizione di On the Origin of Species (1872) e, appunto, un’acuta analisi sulla differenza fra origine storica e utilità attuale che Nietzsche conduce in Zur Genealogie der Moral (1887).

 

Nietzsche e l’origine della morale

La riflessione di Gould su Nietzsche mira a giustificare uno dei maggiori contributi di Gould alla formulazione di una sintesi neodarwiniana estesa: la critica al funzionalismo estremo, secondo cui ogni carattere è sorto per una determinata funzione a beneficio dell’organismo. Tale assunto scientifico esprime una precisa posizione metafisica: il pregiudizio adattazionista o “paradigma di Pangloss”5, ovvero «l’ingenuo dogma di una natura che opera in maniera teleologica e mirando alla ‘perfezione’»6.
Gould ammette: «Sapevo che non avrei mai potuto avanzare una pretesa di originalità per i miei vari scritti sul principio chiave, strutturale e storico, delle differenze intrinseche tra l’utilità attuale e le cause di origine, e sulla conseguente impossibilità di inferire i motivi della costruzione evoluzionistica solo dai ruoli adattativi attuali»; tuttavia – continua l’autore – «ebbi l’ardire di sperare, almeno, di avere presentato un’analisi più ricca e sistematica per dimostrare la centralità di questo principio sottovalutato […]»7. Le riserve di Gould erano giustificate: «nel 1998, grazie alla visione più ampia della mia (allora) laureanda Margaret Yacobucci, scoprii che Friedrich Nietzsche aveva brillantemente delucidato questo principio, con la sua valanga di implicazioni, in una delle sue opere più celebri, Genealogia della morale, pubblicata per la prima volta nel 1887»8.
Effettivamente, Nietzsche dichiara di essersi interessato alla questione dell’origine della morale, che trova espressione anche in altre sue opere, a partire dalla lettura dell’Origine dei sentimenti morali (1877) di Paul Rée. Quest’ultimo infatti, pur avendo letto Darwin, non ne ha ricavato l’indicazione più importante: la consapevolezza della complessità delle vie della storia, la quale rende le autentiche origini della morale sfumate e indecifrabili, piuttosto che chiare «come codesta congerie d’ipotesi inglesi costruita sulle nuvole. È anzi tutto evidente quale colore debba essere per un genealogista della morale cento volte più importante del bianco delle nuvole; intendo dire il grigio, il documentato, l’effettivamente verificabile, l’effettivamente esistito, insomma tutta la lunga, difficilmente decifrabile, scrittura geroglifica del passato morale dell’uomo!»9.
Gould, paleontologo di mestiere sensibile all’importanza della cultura umanistica10, è molto chiaro nell’enunciare i fraintendimenti cui la filosofia nietzscheana è andata incontro, e ne prende le distanze:

Noi dobbiamo a Nietzsche un rispetto e un’ammirazione molto maggiori di quanto non ne riceva da coloro che lo conoscono solo per il comune malinteso generato dalla sua concezione di Übermensh o “superuomo” (che non si riferisce alla difesa hitleriana del dominio da parte del più forte, ma alla descrizione ascetica di Nietzsche di una persona in grado di accettare la totale ripetizione – “eterno ritorno”, nella sua terminologia – della vita, con tutti i suoi orrori, piuttosto che desiderarne una versione rivista)11.

Ci si può legittimamente domandare se una tale analogia, fra due autori (Nietzsche e Darwin) e due ambiti (l’etica descrittiva e la biologia evoluzionistica) apparentemente così distanti fra loro secondo le nostre categorie disciplinari, possa considerarsi lecita. È lo stesso Gould a spiegare perché la risposta non può che essere affermativa:

Non metterei in evidenza in modo così marcato, in questo libro, questa disamina precisa di un problema che è altrettanto centrale nella biologia evoluzionistica – la distinzione fra origine storica e utilità attuale – se Nietzsche non l’avesse generalizzato come tema centrale di ogni studio storico e se non ne avesse spiegato tanto chiaramente sia i significati biologici che le implicazioni per l’analisi adattazionista12.

Il filosofo tedesco ha affrontato la questione a proposito della confusione da lui imputata a molti “genealogisti” della morale fra origine della punizione (da Nietzsche ricondotta alla volontà di potenza) e la sua funzione attuale nella società (vendetta, intimidazione, risarcimento del danno, etc.). In particolare, è nella dodicesima sezione della Genealogia della morale, che Nietzsche si focalizza «sull’origine e lo scopo della pena – due problemi che si dissociano o dovrebbero andar dissociati: purtroppo vengono rifusi in un solo problema» da coloro i quali «scoprono nella pena un qualsivoglia scopo, per esempio vendetta o intimidazione e, indi, ingenuamente, collocano questo scopo all’origine, come causa fiendi della pena, e la cosa è fatta»13. Per Nietzsche l’inferenza diretta dal fine attuale alla causa originaria è logicamente invalida, in quanto non tiene conto del principio fondamentale della metodologia storica, cioè

che la causa genetica di una cosa e la sua finale utilità, nonché la sua effettiva utilizzazione e inserimento in un sistema di fini, sono fatti toto caelo disgiunti l’uno dall’altro; che qualche cosa d’esistente, venuta in qualche modo a realizzarsi, è sempre nuovamente interpretata da una potenza a essa superiore in vista di nuovi propositi, nuovamente sequestrata, rimanipolata e adattata a nuove utilità14.

È interessante constatare che tale principio, anche se applicato nella fattispecie ad un problema etico-giuridico, è esplicitamente riconosciuto come necessario per comprendere ogni processo storico, che esso riguardi temi sociali, antropologici, biologici: «Per bene che si sia compresa l’utilità di un qualsiasi organo fisiologico (o anche di una istituzione giuridica, di un costume sociale, di un uso politico, di una determinata forma nelle arti o nel culto religioso), non si è perciò stesso ancora compreso nulla relativamente alla sua origine»15. Riconoscere chiaramente la distinzione fra causa originaria e funzione attuale di qualsiasi ente o concetto sottoposto a mutamento storico equivale a contestare una visione banale (ed errata) dell’evoluzione come progresso teleologicamente orientato. Nietzsche infatti afferma:

“Evoluzione” di una “cosa”, di un uso, di un organo, quindi, è tutt’altro che il suo progressus verso una meta, e ancor meno un progressus logico e di brevissima durata, raggiunto con il minimo dispendio di forza e di beni – bensì il susseguirsi di processi d’assoggettamento svolgentisi in tale cosa, più o meno spinti in profondità, più o meno indipendenti l’uno dall’altro, con l’aggiunta di resistenze che continuamente si muovono contro, delle tentate metamorfosi di forma a scopo di difesa e di reazione, nonché degli esiti di fortunate controazioni16.

Gould, evidenziando la pertinenza di questo passo rispetto alla teoria dell’evoluzione per selezione naturale, fa notare che Nietzsche

riconosce (come fece Darwin) che svincolare l’utilità attuale dall’origine storica determina il campo della contingenza e dell’imprevedibilità nella storia: infatti se qualche organo, durante la sua storia, subisce una serie di singolari cambiamenti nella sua funzione, allora non possiamo né predirne il prossimo utilizzo a partire da un valore corrente né lavorare comodamente a ritroso per chiarire le ragioni sottostanti all’origine di quel tratto17.

Nietzsche considera l’origine, identificandola nella volontà di potenza, come prioritaria dal punto di vista ontologico, mentre l’utilità attuale è reputata un adattamento secondario sottoposto alla prima, che perdura anche negli stati successivi. Egli pertanto contesta l’opinione degli “adattamentisti”, i quali pongono «invece in primo piano l’“adattamento”, vale a dire una attività di second’ordine, una semplice reattività, anzi si è definita la vita stessa come un intrinseco adattamento, sempre più finalistico, a circostanze esteriori (Herbert Spencer)»18. Il pregiudizio adattamentista è giudicato da Nietzsche, sulla scorta di un’espressione usata da Thomas Henry Huxley contro le teorie di Spencer, “nichilistico”, in quanto disconosce il ruolo primario della volontà di potenza nelle dinamiche evolutive19. È appunto la nozione di volontà di potenza, intesa come forza vitale intrinseca che può influenzare ogni adattamento successivo, l’unico aspetto della spiegazione nietzscheana che Gould ritiene incompatibile con la teoria dell’evoluzione darwiniana. «Però – aggiunge – apprezzo il punto di vista di Nietzsche che può essere tradotto in termini evoluzionistici come fonte originaria di vincolo»20.

 

Darwin e il problema degli stadi incipienti

Darwin rifletté per decenni sul problema degli stadi incipienti: a partire dai cosiddetti “Taccuini della trasmutazione” (1836-1844), stilati al suo rientro in Inghilterra a seguito del viaggio intorno al mondo sul brigantino Beagle, fino al 1872, con la pubblicazione della sesta e definitiva edizione dell’Origine delle specie. In particolare, la questione è affrontata nel sesto capitolo, intitolato “Difficoltà della teoria”, e nel settimo, “Obiezioni varie alla teoria della selezione naturale”, appositamente aggiunto per chiarire ulteriormente questo aspetto in risposta alla pubblicazione, nel 1871, di On the Genesis of Species da parte dello zoologo George Mivart21. Questi contestava a Darwin la presunta incapacità della selezione naturale di spiegare gli stadi incipienti dei caratteri adattativi; un concetto che può essere chiarito se trasposto nella seguente domanda: “ammessa un’evoluzione lenta e graduale dei caratteri, a cosa serve il 5% di un’ala?”22. In altre parole, secondo Mivart l’evoluzione graduale, secondo il modello darwiniano, non è valida in quanto non può spiegare che vantaggio adattativo possano offrire caratteri complessi (come un occhio o un’ala) al loro stadio iniziale di sviluppo evolutivo.
Darwin rimane innanzitutto fedele alla sua prospettiva gradualista. Nel capitolo sesto dell’Origine scrive:

La ragione mi dice che si può dimostrare l’esistenza di numerose gradazioni da un occhio semplice e imperfetto a uno complesso e perfetto, essendo ogni grado utile a chi lo possiede, come è certamente il caso; che se inoltre l’occhio varia sempre e le variazioni sono ereditarie, fatto altrettanto vero, e che se queste variazioni sono utili a un animale in condizioni mutevoli di vita, allora la difficoltà di ammettere che un occhio perfetto e complesso si formi per selezione naturale, sebbene insuperabile per la nostra immaginazione, non deve essere considerata come sovvertitrice della nostra teoria23.

Questa risposta al problema riguarda specialmente quei casi in cui vi è un adattamento inteso in senso stretto (cfr. il § 3), ovvero quel fenomeno per cui un organo è stato modificato dalla selezione naturale per svolgere la funzione che riveste attualmente.
Tuttavia, Darwin riconosce che questa spiegazione non può valere sempre. Esistono, infatti, anche «numerosi casi di un organo che esplica nello stesso tempo funzioni completamente distinte»24 e, viceversa, «due organi distinti, o lo stesso organo in due forme molto diverse, possono compiere contemporaneamente la stessa funzione nello stesso individuo»25: tale “principio di ridondanza” permette di concepire vie alternative all’adattamento diretto, in cui l’origine e la funzione sono logicamente distinte.
Date queste premesse, infatti, è possibile risolvere il problema dell’utilità delle strutture incipienti in senso non adattamentista. Il “5% di un’ala” (struttura incipiente) effettivamente non offre alcun vantaggio adattativo per il volo (la funzione attuale); ma potrebbe essersi sviluppata inizialmente per altri scopi (ad esempio, la termoregolazione), e solo in seguito sarebbe stata cooptata per l’uso che riveste attualmente. «Quando si dimostra la transizione degli organi, è così importante tener presente la probabilità di conversione da una funzione all’altra»26, che Darwin ne fornisce diversi esempi.
Stephen J. Gould constata come i vari passaggi concettuali dell’argomentazione di Darwin «si rifacciano ai principi strutturali del vincolo che si radicano nel “punto di vista principale della metodologia storica” di Nietzsche, cioè la discordanza tra origine storica e funzione attuale»27.
Così, il principio del “cambiamento funzionale bizzarro”, sebbene sottovalutato da molti teorici del neodarwinismo, è fondamentale per due motivi molto importanti: in quanto giustifica il carattere contingente della storia della vita, e poiché costituisce uno delle due fonti principali di influsso strutturalista sulla base primariamente funzionalista della teoria darwiniana.
Circa il primo aspetto, Gould rimarca ulteriormente l’analogia con Nietzsche. Egli afferma che la teoria di Darwin, nella sua formulazione originaria, contiene già il concetto di contingenza a livello minimale, in quanto il mutamento ambientale rappresenta un primo elemento di imprevedibilità che basterebbe di per sé a confutare ogni visione adattamentista dell’evoluzione come progresso verso un “meglio” preordinato. Ma a questo punto Gould aggiunge che,

se la contingenza fosse situata solo in quest’aspetto di base della scala ambientale, allora il principio, benché sufficientemente sano, non sarebbe radicato tanto profondamente nelle tradizioni darwiniane. Piuttosto, la contingenza guadagna la massima forza mediante il principio del cambiamento funzionale bizzarro: la discordanza tra origine storica e utilità attuale, e la conseguente fallacia della inferenza diretta dalla condizione moderna al significato iniziale. […] L’aggiunta del cambiamento funzionale bizzarro, comune in parecchi episodi per ciascun organo in ogni filogenesi complessa, garantisce alla spiegazione storica un ruolo centrale per quanto riguarda le principali discendenze (ancora una volta, come aveva riconosciuto Nietzsche)28.

 

Stephen Jay Gould e la moderna nozione di exaptation

Fino agli anni Ottanta del secolo scorso, la nozione di “cambiamento funzionale bizzarro” non aveva un nome preciso, nonostante la sua importanza non secondaria nel chiarire i meccanismi dell’evoluzione biologica. Di conseguenza, durante la prima stagione della Sintesi Moderna era invalso un uso indiscriminato del termine adattamento (adaptation) per indicare genericamente qualsiasi carattere, a prescindere dalla differenza (fondamentale) fra origine storica e funzione attuale. Eppure lo stesso George C. Williams, uno dei teorici di punta del neodarwinismo e difensore del concetto di adattamento, ne aveva precisato con grande esattezza l’intensione: un carattere può definirsi “adattamento” solo nel caso in cui sia conclamata la sua origine e il suo sviluppo per la funzione che riveste attualmente. Di conseguenza, nei casi di “cambiamento funzionale bizzarro”, o anche nei casi dubbi, esso risulta non solo improprio, ma del tutto scorretto. Neanche il termine alternativo “pre-adattamento” può essere corretto, in quanto (1) può descrivere soltanto un’utilità potenziale futura di un carattere, e non definire il carattere in sé; (2) contiene una sfumatura teleologica e deterministica che mal si concilia con il carattere contingente e accidentale del processo evolutivo29.
Per colmare tale lacuna lessicale nella biologia evoluzionistica, dando un nome tecnico ad un concetto intuito da Darwin nell’Origine delle specie, lucidamente spiegato da Nietzsche nella Genealogia della morale, ma non adeguatamente considerato dagli evoluzionisti contemporanei, Stephen Jay Gould ed Elizabeth Vrba hanno introdotto il termine exaptation per definire «i caratteri cooptati per un’utilità attuale in seguito a un’origine per una funzione diversa (o per nessuna funzione del tutto)»30 .
Già Darwin (come lo stesso Gould riconosce)31 aveva fornito un esempio di exaptation come carattere non plasmato dalla selezione naturale (piuttosto, dalle leggi di sviluppo embriologico) e successivamente impiegato a fini adattativi:

Le suture del cranio dei giovani mammiferi sono state prospettate come un bell’adattamento per facilitare il parto, e senza dubbio esse l’agevolano, o possono essere indispensabili per quest’atto; ma poiché le suture si riscontrano anche nel cranio di giovani uccelli e rettili, che hanno soltanto da uscire da un uovo rotto, possiamo dedurre che questa struttura è sorta dalle leggi dello sviluppo ed è stata utilizzata per il parto negli animali superiori32.

Gould osserva che, stando alle definizioni rigorose di adaptation e di exaptation, non solo oggi è inaccettabile un uso indiscriminato del termine adaptation, ma sarebbe opportuno, nei casi la cui interpretazione come adaptation o exaptation sia dubbia, usare la parola aptation «come termine generale descrittivo per un carattere che ora contribuisce alla sopravvivenza»33; anche se l’imporsi nel linguaggio di tale ulteriore precisazione lessicale appare allo stesso autore improbabile per via dell’uso prolungato e del prestigio simbolico associato alla parola “adattamento”.
Prestigio che, lo ricordiamo, ha ragioni non solo storiche (con l’uso e l’abuso del concetto di cui si è avvalsa la prima stagione della Sintesi Moderna neodarwiniana, e specialmente la sociobiologia e la psicologia evoluzionistica) ma metafisiche, in quanto risponde alla diffusa e inestinguibile tendenza dell’uomo a pensare in senso teleologico. Non a caso, il termine “adattamento” nacque in un contesto pre-darwiniano, per dimostrare, secondo i canoni della teologia naturale, la provvidenza del Creatore a partire dalla “perfezione” degli organi che Egli fornisce alle sue creature per la loro sopravvivenza34.
Riflettere sull’importanza delle strutture non adattative nella teoria dell’evoluzione è filosoficamente significativo perché aiuta a concepire la selezione naturale non come omologa sostituta di un Disegno Intelligente, ovvero alla stregua di un ingegnere onnipotente che fornisce ad ogni organismo gli adattamenti migliori in senso assoluto; ma piuttosto come un abile bricoleur, che lavora creativamente e in modo imperfetto con i materiali disponibili e usati inizialmente per un altro scopo (primo significato di exaptation) o non usati affatto ma presenti solo per motivi storici o architettonici (secondo significato di exaptation o spandrel).
In tal senso, si capisce bene la portata del principio storico nietzscheano per la teoria dell’evoluzione. Ragionando in senso autenticamente genealogico, cioè separando l’origine remota dei valori morali dalla loro giustificazione attuale, Nietzsche aveva compreso ed espresso molto bene che «è la Storia che ci interessa ed è la Storia che scompiglia la perfezione e dimostra che la vita del presente ha trasformato il proprio passato»35.

 

Note

1 S.J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione (The Structure of Evolutionary Theory, 2002), Codice, Torino 2003, p. 1515.
2 S.J. Gould & R.C. Lewontin, The Spandrels of San Marco and the Panglossian Paradigm: A Critique of the Adaptationist Programme, in «Proceedings of the Royal Society of London», Series B, Biological Sciences, Vol. 205, No. 1161 (Sep. 21, 1979), pp. 581-598.
3 S.J. Gould, E.S. Vrba, Exaptation: un termine che mancava nella scienza della forma (Exaptation. A Missing Term in the Science of Form, 1982), in IIdem, Exaptation. Il bricolage dell’evoluzione, a cura di T. Pievani, trad. it. di C. Ceci, Bollati Boringhieri, Torino 2008, pp. 7-53.
4 S.J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, cit., p. 1528.
5 Cfr. nota 2.
6 A.G. Biuso, Aiòn. Teoria generale del tempo, Villaggio Maori, Catania 2016, p. 63.
7 S.J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, cit., p. 1516.
8 Ibidem.
9 F.W. Nietzsche, Genealogia della morale. Uno scritto polemico (Zur Genealogie der Moral. Eine Streitschrift, 1887), intr. di M. Montinari, trad. it. di F. Masini (1984), Adelphi, Milano 201922, p. 10 (corsivo nel testo).
10 Cfr. R. York and B. Clark, The science and humanism of Stephen Jay Gould, Monthly Review Press, New York 2011.
11 S.J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, cit., p. 1517.
12 Ivi, p. 1518.
13 F.W. Nietzsche, Genealogia della morale, cit., p. 65.
14 Ivi, p. 66.
15 Ibidem.
16 Ivi, pp. 66-67.
17 S.J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, cit., p. 1519.
18 F.W. Nietzsche, Genealogia della morale, cit., p. 68. In un altro contesto, presentando le ipotesi circa l’origine del giudizio di valore “buono”, Nietzsche critica a Spencer la sua teoria utilitaristica, per cui è buono «quel che da tempo immemorabile si è dimostrato utile: con ciò esso può pretendere di valere come “pregevole al massimo grado”, “pregevole in sé”» (ivi, pp. 16-17). Sull’etica evoluzionistica di Herbert Spencer, cfr. E. Severini, Etica ed evoluzionismo, Carocci, Roma 2020, pp. 28-34.
19 Cfr. F.W. Nietzsche, Genealogia della morale, cit., p. 68. Va notato incidentalmente che la conoscenza della teoria dell’evoluzione darwiniana da parte di Nietzsche non è superficiale, come è possibile notare non solo dalla citazione esplicita dei principali protagonisti dell’evoluzionismo inglese, ma anche dalla seguente similitudine, che egli usa in riferimento agli individui con “cattiva coscienza”: «Non diversamente da quello che deve essere accaduto agli animali acquatici, allorché furono costretti a divenire animali terrestri oppure a perire, si compì la sorte di questi semianimali felicemente adattati allo stato selvaggio, alla guerra, al vagabondaggio, all’avventura – a un tratto tutti i loro istinti furono svalutati e “divelti”» (ivi, p. 73).
20 S.J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, cit., p. 1520.
21 Cfr. ivi, p. 1521; T. Pievani, Exaptation. Storia di un concetto, in S.J. Gould, E.S. Vrba, Exaptation. Il bricolage dell’evoluzione, cit., pp. 106-109.
22 Questa formulazione della questione sollevata da Mivart come “principio del 5% di un’ala” è stata espressa da Gould nel saggio Non necessariamente un’ala, in Id., Bravo Brontosauro. Riflessioni di storia naturale (Bully for Brontosaurus. Reflections in Natural History, 1991), trad. it. di L. Sosio, Feltrinelli, Milano 20184, pp. 140-152. Per una risposta strettamente gradualista alla medesima questione: cfr. R. Dawkins, L’orologiaio cieco. Creazione o evoluzione? (The Blind Watchmaker, 1986), trad. it. di L. Sosio, Mondadori, Milano 2017, pp. 130 segg.
23 C.R. Darwin, L’origine delle specie (On the Origins of Species by Means of Natural Selection, or the Preservation of Favoured Races in the Struggle for Life, 18726), trad. it. di L. Fratini, Bollati Boringhieri, Torino 2011, pp. 242-243.
24 Ivi, p. 246.
25 Ivi, p. 247.
26 Ivi, p. 248.
27 S.J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, cit., p. 1526.
28 Ivi, p. 1529.
29 Cfr. ivi, pp. 1535-1538; S.J. Gould, E.S. Vrba, Exaptation: un termine che mancava nella scienza della forma, in IIdem, Exaptation. Il bricolage dell’evoluzione, cit., pp. 9-14.
30 S.J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, cit., p. 1538.
31 Ivi, p. 1536; S.J. Gould, E.S. Vrba, Exaptation: un termine che mancava nella scienza della forma, in IIdem, Exaptation. Il bricolage dell’evoluzione, cit., pp. 12-13.
32 C.R. Darwin, L’origine delle specie, cit., p. 259.
33 S.J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, cit., p. 1539.
34 Cfr. T. Pievani, Exaptation. Storia di un concetto, in S.J. Gould, E.S. Vrba, Exaptation. Il bricolage dell’evoluzione, cit., p. 106.
35 S.J. Gould, Il sorriso del fenicottero (The Flamingo’s Smile. Reflections in Natural History, 1985), trad. it. di L. Maldacea, Feltrinelli, Milano 20092, p. 43.

 

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