Dall’azione alla cognizione. La struttura temporale dell’esperienza tra corpo e memoria

Di: Daria Baglieri
4 Gennaio 2022

 

Un teatrino di marionette
immerse nei colori immateriali degli anni,
di marionette che esteriorizzavano il Tempo:
il Tempo che, d’ordinario, non è visibile,
che per diventar tale va in cerca di corpi
e che, dovunque li incontra, se ne impossessa
per mostrar su di loro la propria lanterna magica.

Proust, Il tempo ritrovato

 

L’enigma del tempo

Il tempo, la coscienza del suo scorrere e, prima ancora, della sua realtà, hanno una consistenza innegabile nella vita quotidiana e nella fenomenologia dell’esperienza. Non solo, infatti, tutti gli organismi sono regolati da intrinseci ritmi cronobiologici – circadiani, infradiani e ultradiani, interditali, lunari e artificiali – che sono determinanti ai fini dell’adattamento all’ambiente. Il tempo si sente «anche se nulla si muove e cambia, e anche quando non si percepisce nulla»1 come accade, ad esempio, durante il sonno.
La mente umana è sempre alle prese con la natura enigmatica e per certi versi paradossale del tempo: se ogni evento accade in un frangente di realtà che consta insieme di spazialità e temporalità, l’evidenza preconcettuale e intuitiva sembra tuttavia insistere sulla natura profondamente diversa del tempo rispetto allo spazio. Non stupisce, pertanto, che nel corso della storia del pensiero non si sia mai sopito il dibattito sul tempo e, anzi, alcune indagini siano diventate celeberrime – si pensi a quella agostiniana sull’essere e sul come dell’essere del tempo. Nel Novecento è Husserl a innescare una domanda sul tempo dal carattere fortemente teoretico, vale a dire sulle possibilità e i limiti entro cui è possibile comprendere la spazialità e temporalità dell’umano, con l’obiettivo di portare a concetto quell’a priori da cui origina l’insopprimibile «senso insito nel parlare di mondo»2. L’obiettivo della filosofia come fenomenologia, dunque, è chiarire cosa vuol dire che c’è un mondo e che la coscienza ne fa esperienza nello spazio e nel tempo, trovandosi cioè situata in esso.
Ora, se l’analogia con lo spazio è un tentativo limitato – e limitante – di concettualizzare, di rendere comprensibile, il tempo, d’altro canto la differenza tra spazio e tempo sul piano epistemologico non deve oscurare l’appartenenza e il rimando reciproco sul piano ontologico, quel rimando che, si diceva poc’anzi, fa problema già al livello dell’intuizione. Husserl, nelle Lezioni per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, fornisce un’efficace spiegazione di questo scarto distinguendo tra la coscienza della percezione di successioni, che prende forma grazie all’esperienza del movimento, e la successione delle percezioni, che la coscienza sente anche in assenza del movimento. Questa tesi è oggi confermata dalla ricerca neurobiologica sui meccanismi del tempo e a essa fornisce una solida base teorica nel sostenere che «per pensare la realtà senza tempo bisognerebbe cambiare il cervello»3, perché in esso spazio e tempo sono inscindibilmente correlati.

 

Il ruolo evolutivo e la base neuronale della memoria

L’esperienza del tempo è generata dal contatto del cervello con il mondo empirico; tuttavia, il risultato che ne emerge è ancor più complesso, e trova la sua spiegazione nel concorso di  numerosi meccanismi cognitivi che si estendono al di fuori dell’encefalo e percorrono l’unità e totalità del corpo: «i processi fisiologici che noi chiamiamo “mente” derivano dall’insieme strutturale e funzionale, piuttosto che dal solo cervello: soltanto nel contesto dell’interagire di un organismo con l’ambiente si possono comprendere appieno i fenomeni mentali»4. L’umano, infatti, vive adattandosi all’ambiente che lo circonda, come ogni altro vivente, ma la sua specificità consiste nell’essere un complesso «flessibile e variabile di razionalità, memoria, senso del corpo e affettività»5. Tra queste variabili adattive, la memoria è la più antica ed elementare – soprattutto a confronto con la complessità dello sviluppo tecnico e culturale – ed è probabilmente la più necessaria alla sopravvivenza, in quanto costituisce il senso del tempo. È con la memoria, infatti, che l’uomo «ricostruisce e trasforma impercettibilmente, ma senza sosta, il passato in funzione della sua personalità presente e del modo di proiettarsi verso il futuro»6 proprio per non soccombere al mutamento incessante e caotico che lo circonda. All’analisi della memoria bisogna dunque ricondurre la comprensione della temporalità intrinseca alla struttura unitaria di corpo e mente.
Nello specifico, il principale responsabile delle funzioni mnemoniche è l’ippocampo, organo che si occupa più generalmente di coniugare e coordinare la continuità dell’esperienza nello spazio con la sua durata. Questa “base” fisica sarebbe tuttavia insufficiente, da sola, a generare la temporalità vissuta, come lo sarebbero i famosi “cervelli in una vasca” di Putnam, che ricevono semplici stimoli elettrici restando, per il resto, isolati da una struttura nervosa che si articoli oltre l’encefalo e astratti da un ambiente che li metta alla prova. L’originale e fondamentale nodo tra l’io e il suo mondo è infatti l’insieme del corpo vivo, il Leib: esso costituisce il limen – il limite e il confine – tra l’ambiente e l’io, il quale intuisce ‒ e sa di intuire ‒ solo una porzione della realtà di cui esso stesso è parte. Così, il senso del tempo e i meccanismi della memoria non sono esclusivamente ascrivibili né all’ippocampo né a nessun’altra area del cervello o del corpo e anzi, «unico tra le sensazioni, può essere presente come tempo assoluto e tempo soggettivo in tutte le esperienze sensoriali»7.

 

Azione e temporalità: evidenze sperimentali

Nella prospettiva fenomenologica di Husserl, le esperienze quotidiane, le abitudini come le reazioni immediate a un imprevisto, il generale essere in azione, rientrano in quello che egli denomina atteggiamento naturale, cioè l’esperienza preriflessiva e prefilosofica dello stare al mondo. È la condizione originaria nella quale l’io esperisce intuitivamente, in prima persona e nel fluire del tempo, i propri vissuti interiori e le proprie azioni, appunto, come evidenze immediate.
Che la coscienza di vivere nel tempo sia parte dell’esperienza naturale del mondo è esattamente quanto emerge dai recenti studi sulla struttura delle azioni. Dall’analisi dei fotogrammi catturati durante lo svolgersi di alcuni movimenti di neonati e adulti e, addirittura, del feto, è emerso che c’è tempo nelle azioni. Nel feto e nei neonati si registrano infatti movimenti delle mani diretti verso la bocca con frequenza regolare, ma soprattutto, contestualmente al movimento delle mani, si registrano dei movimenti della bocca che anticipano l’avvicinarsi della mano e che sono perciò indice di una strutturazione, di una non-casualità intrinseca a tali movimenti.
Questi movimenti, che a occhio nudo appaiono incontrollati, non sono in realtà scoordinati; c’è piuttosto, anche prima della nascita, una certa coordinazione e una capacità di articolare i movimenti, una propriocezione, che non differisce molto dal tipo di anticipazione rilevabile nei comportamenti degli adulti. Una tipica capacità di anticipazione basata su schemi motori si osserva, ad esempio, nei movimenti degli occhi che, quando si gira l’angolo del marciapiede, puntano già oltre l’angolo, prima che il corpo giri nella stessa direzione. Un altro caso, facilmente osservabile anche nei bambini, si verifica quando, nell’intento di afferrare un oggetto, la mano si adatta intuitivamente alla sua forma. La differenza tra questi comportamenti e i movimenti hand-mouth osservati già nel feto risiede solo nel grado di complessità, e non nell’assenza di un’organizzazione interna all’azione dei bambini rispetto agli adulti.
Dalla scoperta dei meccanismi di anticipazione, rilevati nei movimenti ordinari, si deduce che essi implicano un orientamento pratico e irriflesso, non meditato, verso ciò che sta per accadere. La scoperta, soprattutto, è che tale orientamento si mantiene tracciando i movimenti precedenti, trattenendo nella memoria, senza coscienza diretta, una consapevolezza di come essi conducano allo stato corrente dell’intero organismo spaziotemporalmente situato. Si tratta, in altre parole, di un vero e proprio meccanismo temporale (timing, una capacità di misurare il tempo ed elaborare un’informazione temporale) che riflette un’intrinseca temporalità (temporality, la capacità di organizzare temporalmente il proprio comportamento) connaturata o addirittura innata. In altre parole, non è perché pervengono delle informazioni di durata che l’organismo si organizza temporalmente; al contrario, l’organismo misura il tempo perché è già temporalmente strutturato.
È lecito ipotizzare che questa temporalità si identifichi con la memoria non come semplice funzione, ma come caratteristica intrinseca e indispensabile del corpo. È la memoria, infatti, a porre le distanze temporali che consentono di misurare il tempo e sentirsi situati in esso, sia riportando continuamente il passato nel presente per orientare il sé all’azione nel futuro, sia sedimentando i cosiddetti «ricordi stabili»8, vale a dire le coordinate del tempo episodico –l’insieme degli eventi che hanno precisi connotati spazio-temporali, di cui cioè si ricordano il luogo e il momento in cui si sono verificati – che rendono conto in ogni momento del contesto temporale delle azioni. La memoria, più generalmente, è il tendersi del complesso corpo-coscienza in direzione tanto del futuro quanto del passato, tant’è che «il linguaggio comune utilizza il termine “ricordare” per indicare almeno due diverse prospettive temporali: ricordarsi cosa dobbiamo fare, cioè quali sono i nostri piani per il futuro, o ricordare eventi del passato, tipo un incidente, la faccia di una persona e così via»9.

 

Le analisi husserliane sulla coscienza: la temporalità dell’Io

Se è vero che nei ricordi l’io riconosce «se stesso come lo stesso»10, e dunque che le azioni recano in qualche modo notizia della storia di chi le compie, con il sostegno degli studi sulla temporalità dei movimenti corporei si può a ragione sostenere che i ricordi sono i segni che il mondo e il tempo lasciano nel corpo sin dal primo vagito, anche prima che si inizi a ricordare consapevolmente. L’io stesso è uno e identico nel tempo non nonostante le percezioni decorrano e sprofondino istante per istante, ma proprio grazie a questo decorrere che implica la sedimentazione e l’unificazione delle esperienze nella memoria. Nella coscienza, dunque, non c’è un punto statico da cui inizia l’esperienza del mondo e che entra poi in relazione con un fluire di questo mondo nel tempo. L’origine dell’esperienza e della coscienza del tempo è invece un «punto fluente»11, una dinamica la cui essenza stessa è il fluire.
Il diagramma temporale elaborato da Husserl nei testi delle Lezioni sulla fenomenologia della coscienza interna del tempo e rimaneggiato nei manoscritti L, meglio noti come manoscritti di Bernau, fino a presentare una maggiore attenzione all’aspetto protensionale, anticipatorio, della distentio di coscienza, si presta bene a spiegare la temporalità di questi processi come caratteristica strutturale dell’insieme corpo-mente. In questo senso, infatti, il flusso nel quale il presente si intreccia alle ritenzioni e alle protensioni non è esplicativo solo della temporalità vissuta in senso psicologico, ma anche dei movimenti coscienti e dei processi motori non coscienti, cioè in senso corporeo, motorio e comportamentale. Inoltre, se si adotta una spiegazione dinamica di tali processi, è possibile evidenziare come l’azione e la consapevolezza dell’azione siano il risultato della co-attivazione di più regioni del cervello che si esplica poi a livello sensomotorio. La teoria husserliana del continuum ritenzionale, peraltro, sostiene che nel ricordo stesso c’è una componente anticipatoria che informa dinamicamente il presente tanto quanto lo informa l’appena-passato, e fornisce così una spiegazione anche a quei processi di propriocezione che danno luogo, a livello fenomenico, alla sensazione di essere attori di movimenti temporalmente orientati.
Gli studi sulla temporalità dell’azione, dunque, si integrano bene con le teorie husserliane; per entrambi, infatti, i processi di elaborazione dell’esperienza si svolgono su tre scale di temporalità diverse e tra di loro intrecciate, e si potrebbe perciò tentare un parallelismo tra la prospettiva sperimentale e quella fenomenologica sulle scale o livelli di temporalità:

  • la scala elementare dei ritmi cellulari caratteristici dei neuroni, che riguarda principalmente la velocità delle scariche neuronali (dai 10 ai 100 ms), che fenomenologicamente è da intendersi al livello degli enti di cui si fa esperienza nel tempo obiettivo e che costituiscono la “base fisica” dell’apparire del mondo alla coscienza;
  • la scala integrativa, che corrisponde al presente vissuto di una normale operazione cognitiva o di un’azione semplice (da 0,5 a 3 s), che in fenomenologia corrisponderebbe al livello degli eventi che accadono nella temporalità immanente della coscienza;
  • la scala narrativa, che coinvolge la memoria e una maggiore ampiezza temporale del vissuto, che riporta a quelli che in fenomenologia sono i processi, la dinamica dell’intero compresa dal punto di vista limitato della coscienza, il mutamento incessante costitutivo di ogni temporalità che coinvolge la coscienza nella Weltzeit, il tempo del mondo.

Questi tre livelli o scale di temporalità sono l’articolazione di un’unità ontologica che li precede e che li rende irriducibili alla sola temporalità obiettiva. Le scale, infatti, indicano tre diversi livelli di elaborazione degli eventi che si integrano a vicenda per dare vita al presente fenomenico; il risultato di questa integrazione è il tempo dell’agire intenzionale, che non è misurabile né standardizzabile, e la consapevolezza che lo riguarda, il senso di agency. L’ordine temporale che si manifesta al livello della scala integrativa e quindi dell’esperienza presente è il prodotto della funzione ritenzionale, che trattiene e ordina le informazioni in base a uno schema pratico, corporeo, che risponde a un unico criterio, quello delle necessità presenti dell’organismo. Ciò implica che i momenti passati non vengono semplicemente trattenuti, ma sono a tutti gli effetti incorporati nel presente, tanto al livello microscopico dei sistemi neurali che implementano questo effetto del passato nel presente, quanto al livello macroscopico dei comportamenti a essi correlati.
Anche per Husserl il senso del tempo è la componente strutturale della coscienza e fonda l’esperienza nel e delmondo; la coscienza sensoriale originaria [Urempfindungsbewusstsein] precede come impressione primordiale [Urimpression] la coscienza del tempo empirico: «gli eventi cerebrali che avvengono in tempi e su scale spaziali diversi (della maggior parte dei quali non siamo coscienti), sono composti e, quindi, percepiti in un tempo unitario: come elementi di una sinfonia»12. Le tesi di Husserl vanno dunque nella stessa direzione delle successive scoperte circa l’unità temporale dell’umano come sintesi di corpo e mente.
Unità, sintesi, qui non indicano una giustapposizione di elementi eterogenei, ma un complesso, un «patrimonio egologico»13 che caratterizza come, appunto, umana, e insieme rende soggettiva, unica, l’esperienza nel mondo. L’unità di coscienza e corpo si comprende facilmente se si pensa all’esperienza delle emozioni: ad esempio, è nel cuore che si prova gioia anche se essa non è nel cuore nello stesso senso in cui vi è il sangue; la paura si sente allo stomaco senza essere nello stomaco; le sensazioni tattili si vivono sulla pelle, ma non sono la pelle.
Il corpo vivo, insomma, è legato a un elemento psichico che ne costituisce la parte senziente, reattiva, che lo differenzia radicalmente da qualsiasi ente semplicemente spaziale e la cui esistenza, tuttavia, non è indipendente dalla base fisica: se, da un lato, potrebbe anche darsi che niente di ciò che esiste nello spazio sia animato, dall’altro lato sarebbe però assurdo pensare che qualcosa che sente dolore, prurito, solletico possa esistere senza essere anche viva nello spazio. Non si tratta di avere un corpo e individuare in esso il luogo, lo spazio che occupano i vissuti, ma di essere un corpo e di comprendere che, se le sensazioni sono condivise, comunicabili e in alcuni casi persino misurabili; tuttavia, il senso che tali vissuti assumono per l’Io nelle relazioni con se stesso, con gli altri e con il mondo costituisce un patrimonio del tutto individuale la cui spiegazione richiede inevitabilmente un approccio integrato e olistico.

 

La memoria come struttura dell’esperienza

L’indipendenza della res cogitans dalla res extensa non implica la possibilità della sua assolutezza nel senso proprio di ab-soluta da una manifestazione empirica, spaziale, corporea, viva, e anzi il corpo stesso è vivo e pensa. Non c’è quindi una dipendenza essenziale (altrimenti, e banalmente, dal punto di vista fenomenologico si tratterebbe di un’unica essenza), una causalità, bensì una correlazione tra corpo e coscienza: è vero che alla cosa spaziale, dunque al corpo vivo nella sua empiricità, appartiene di necessità l’essere soggetto a modificazioni che rispondono a una legalità necessaria (es. la forza di gravità, le interazioni sinaptiche tra i neuroni), ma non è in questi legami empirici che bisogna rinvenire la causa, l’ineliminabile fattore originario dell’esperienza. Ciò vuol dire che il mondo è uguale per tutti finché ogni individualità non vi trova un senso solo suo, e questa, sotto il termine di intenzionalità, è quella che Paul Ricoeur amava indicare come la più grande scoperta di Husserl: il mondo c’è per qualcuno, dal punto di vista di qualcuno e precisamente di una coscienza che è sempre coscienza di qualcosa e che ne fa esperienza, anziché esserne “spettatore disinteressato”.
In questo processo di individuazione e, al contempo, differenziazione continua del sé che passa tanto per lo sviluppo corporeo quanto per la sedimentazione coscienziale, la memoria è senso, cioè sensibilità organica globalmente a contatto con il mondo, e senso, cioè riempie e motiva la vita nel suo intero fluire: «è comunque la personalità nel suo insieme ad evolversi senza sosta, modificata dai ricordi e modificandoli a sua volta o cambiando il modo in cui li si percepisce»14.
Si potrebbe tentare una definizione sintetica della memoria come struttura corpo-mentale e ambiente intenzionale dell’intera esperienza umana nel mondo. Se l’intenzionalità è l’atto del conferire senso alla propria relazione con il mondo, la memoria è l’“ambiente” di ognuno di questi atti, perché funge da contesto a ogni esperienza; l’esperienza stessa, d’altro canto, è a sua volta vincolata alla memoria non perché si ripieghi nel passato bensì, al contrario, perché tale contesto le offre le possibilità di scelta che aprono all’azione nel futuro.
La memoria, infine, è struttura “corpomentale” perché nella realtà del passato, che resta nei corpi e nella loro storia svelando infine il tempo in quanto tale, l’Io conserva la ragione e il sentimento intimo del proprio abitare nel presente, identico e diverso, nella propria unità e nel proprio mondo. Non basta, insomma, la legalità portata alla luce dalle scienze naturali per spiegare la differenza tra un pensiero e un vissuto, un’azione e un comportamento, un fatto e un ricordo: esperienza è l’incredibile e complessa «differenza fra una goccia di liquido che si condensa e una lacrima»15.

 

Note

1 A. Benini, Neurobiologia del tempo, Raffaello Cortina, Milano 2020, p. 17.
2 E. Husserl, I problemi fondamentali della fenomenologia. Lezioni sul concetto naturale di mondo (1910-1911) [Aus den Vorlesungen Grundprobleme der Phänomenologie. Wintersemester 1910-11], trad. it. e prefaz. V. Costa, Quodlibet, Macerata 2014, p. 27.
3 A. Benini, Neurobiologia del tempo, cit., p. 122.
4 A.R. Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano [Descartes’ Error: Emotion, Reason, and the Human Brain, 1994], trad. it. F. Macaluso, Adelphi, Milano 2021, p. 24.
5 A. Benini, Neurobiologia del tempo, cit., p. 59.
6 J.Y. Tadié-M. Tadié, Il senso della memoria (Le sens de la mémoire, 1999), trad. di C. Marullo Reedtz, Dedalo, Bari 2000, p. 12.
7 A. Benini, Neurobiologia del tempo, cit., p. 58.
8 Ivi, p. 77.
9 C. Papagno, Come funziona la memoria, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 45.
10 E. Husserl, I problemi fondamentali della fenomenologia. Lezioni sul concetto naturale di mondo (1910-1911), cit., p. 6.
11 Ivi, p. 39.
12 A. Benini, Neurobiologia del tempo, cit., p. 61. Si noti che la percezione di una melodia è l’esempio prediletto da Husserl in tutti i tentativi di portare alla luce la coscienza interna del tempo.
13 E. Husserl, I problemi fondamentali della fenomenologia. Lezioni sul concetto naturale di mondo (1910-1911), cit., p. 8.
14 J.Y. Tadié-M. Tadié, Il senso della memoria, cit., p. 129.
15 E. Mazzarella, Ermeneutica dell’effettività. Prospettive ontiche dell’ontologia heideggeriana, Guida, Napoli 1993, p. 161.

 

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