Biopolitica e aborto tra Stato e movimenti sociali

Di: Eva Luna Turino
8 Luglio 2021

                                                                                        

Dove sono Ella e Kate
morte entrambe per errore
una di aborto, l’altra d’amore. […]
   Dormono, dormono sulla collina.
Dormono, dormono sulla collina.
Fabrizio De André, La collina (1971)

Tempo fa un professore dell’Università di Catania raccontò a lezione a me e ad altri suoi alunni un breve apologo, il quale scoprii successivamente essere stato scritto dal saggista ed accademico americano David Foster Wallace1, e che adesso vorrei riportare:
«Ci sono due pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: “Salve, ragazzi. Com’è l’acqua?” I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa “Che cavolo è l’acqua?”».
Il seguente testo si propone di esporre l’idea per cui l’acqua della nostra contemporaneità sia composta, in parte, anche dalla Biopolitica, meccanismo che sottende moltissime delle dinamiche sociali, economiche, politiche e culturali in cui nasciamo e in cui diventiamo le persone che siamo; la nostra totale immersione in queste dinamiche fa sì che i nostri occhi risultino spesso ciechi davanti ad essa, nonostante si articoli in sempre più numerose istituzioni, strutture sociali, legislazioni, discorsi e misure amministrative2.
Nonostante del termine non esista un’univoca definizione, è comunque possibile affermare che per biopolitica si intenda l’ingerenza della politica e delle amministrazioni statali all’interno delle questioni private, del singolo, biologiche e corporali; l’intrusione legislativa su dinamiche e scelte che dovrebbero spettare esclusivamente alla persona.
È sempre attuale ed importante l’analisi di questo termine che, attraverso l’unione dei concetti di bìos e pólis, tenta di comprendere – nel duplice senso di capire e di portare in sé – la sempre più sfumata distanza tra la dimensione del pubblico e quella del privato, tra lo statale e l’individuale, la cui contemporanea interdipendenza non riesce sempre ad essere colta dalle categorie politiche classiche e tradizionali. Con il termine biopolitica si possono infatti analizzare e spiegare fenomeni anche molto diversi tra loro come la regolamentazione dei vaccini, l’amministrazione statale del cambiamento di sesso delle persone transgender o addirittura la gestione dell’emergenza migratoria; ciò che accomuna tutte queste dinamiche è di appartenere alla categoria dei «fenomeni politici nei quali ne va direttamente della vita biologica degli uomini, dell’uomo in quanto essere vivente»3.

 

Michel Foucault e le origini del termine

Pioniere del discorso biopolitico fu Michel Foucault che descrisse la biopolitica come «il modo in cui si è cercato, a partire dal XVII secolo, di razionalizzare i problemi posti alla pratica di governo dai fenomeni propri di un insieme costituiti in popolazione: salute, igiene, natalità, razze…»4, definendola quindi come una modalità di relazione del potere volta all’amministrazione dei corpi e alla gestione calcolatrice/regolatrice delle vite umane e fondata sul controllo della vita biologica dei cittadini, divenuta oggetto di mire e politiche statali.
«Si apre così l’era di un “bio-potere”»5, l’era di un nuovo modo di razionalizzare i problemi della popolazione tramite la subordinazione dei corpi. Questo biopotere, secondo Foucault, agevola l’ascesa del capitalismo poiché inserisce le dinamiche del vivente all’interno dei meccanismi di produzione e vendita, allineando i fenomeni biologici e sociali alle esigenze di mercato. Il capitalismo, richiedendo il massimo della resa con il minimo dei costi, presuppone che chi sta alla base della piramide produttiva – gli uomini – possa costantemente donare prestazioni eccellenti e ciò può avvenire solo tramite una buona salute: proprio da questa esigenza economica nascerebbe la preoccupazione per la riproduzione, la mortalità, la longevità e la prevenzione della popolazione. Difatti ad una maggiore emancipazione dal punto di vista religioso o economico, data dal liberismo e dal liberalismo, si inizia a contrapporre una capillare azione amministrativa e legislativa su aspetti neutri solo in apparenza, come il controllo demografico e la salute pubblica6.
In questo contesto la morte e la sessualità divengono oggetto di studi, controlli e regolamentazioni capillari da parte del potere: la prima poiché è l’ultimo intimo baluardo rimasto interamente fuori dal controllo statale, non governabile e difficilmente sfruttabile, considerando che la gestione biopolitica della vita non può ovviamente avvenire dove c’è la morte; la seconda perché rappresenta un ponte tra la singola persona e la popolazione di cui fa parte, poiché dalle abitudini sessuali del singolo non dipende solo la sua salute ma anche la riproduzione della specie e i tassi di crescita della popolazione7.
Si capovolge la visione per cui l’uomo era l’essere per eccellenza dotato di conoscenza. Da soggetto del sapere ne diviene oggetto: di studi, di statistiche, di esami. Del binomio potere-sapere egli è l’inconsapevole protagonista, ormai studiato da tanti punti di vista quante sono le discipline: economia politica, psichiatria, demografia, biologia, sociologia ecc. Tutti questi saperi – pretendendo di essere portatori di verità scientifiche – inducono un assoggettamento protratto e giustificato da interventi politici, economici e di moralizzazione che poi stanno alla base di alcune istituzioni come prigioni, fabbriche, scuole e ospedali che producono e controllano i costumi e le abitudini dei cittadini. Foucault tenta di porre ad evidenza come la verità e il potere stiano in un rapporto di reciproca influenza, complicità e implicazione, arrivando alla «caduta dell’illusoria indipendenza del sapere dal potere»8.

 

L’aborto come concreta coercizione biopolitica

Le legislazioni che regolamentano l’aborto – vietandolo, criminalizzandolo o solo concedendolo fissando dei criteri di legittimità – si innestano e si sviluppano all’interno del paradigma biopolitico. Non solo all’interno della sfera della sessualità la maternità – in quanto fase di produzione e di continuazione della specie – è il momento prediletto del controllo statale, ma l’interruzione di gravidanza tocca l’altro grande limite dell’amministrazione centrale: la morte. Tramite la regolamentazione dell’aborto lo Stato ruba alla donna il potere su questi due importanti elementi e si insinua in entrambe queste private ed intime realtà.
L’idea cardine che vorrei sostenere è che l’amministrazione dell’aborto non derivi realmente da interessi morali verso il feto – la cui importanza è una costruzione culturale che muta nel tempo e nello spazio – e neanche dalla preoccupazione di preservare la specie umana (già in sovrabbondanza su questo pianeta), ma dal tentativo dell’autorità statale di mantenere il suo potere sul corpo e sull’erotismo delle donne. Essendo uno degli aspetti fondanti dei regimi biopolitici quello di sovrapporre conoscenze mediche e legge, le donne – divenute oggetto di studi biologici, scientifici, psicologici – verranno non solo costantemente vessate da norme ed imposizioni non giuridiche (volte a normalizzare e soggettivare i “comportamenti devianti” della loro sfera intima e sessuale), ma anche amministrate da legislazioni statali che si prenderanno carico del sesso femminile poiché esso sarebbe «fornitore di materia sia dal punto di vista biologico che da quello giuridico»9.
La gravidanza, allontanata dall’atmosfera pudica e misticheggiante che sin dall’antichità la avvolgeva, iniziò ad essere osservata e trasformata in oggetto di studi e conoscenze medico-scientifiche tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo. Il parto iniziò ad essere osservato nei suoi momenti e nelle sue componenti più intime, e questo processo conoscitivo si istituzionalizzò nella seconda metà del XVIII secolo con la nascita dei primi reparti di maternità e delle prime scuole di ostetricia; il punto di svolta si ebbe però con l’invenzione dell’ecografia, strumento che rese pubblico ciò che prima era esclusiva prerogativa di percezione materna10. In parallelo a questo processo di inculturazione si sviluppò pian piano la visione della donna come contenitore della crescita fetale, spostando l’attenzione dalla madre al nascituro, interpretato ormai come forza-lavoro in potenza. «Questo passaggio, questo cambio di sguardo si inserisce in una preoccupazione demografica, che coincide con l’idea che le nazioni saranno più forti quanto più sarà cospicuo il numero dei loro cittadini e migliore la loro qualità»11.
Il potere-sapere foucaltiano, già inserito nel generale studio della gravidanza, è vivo soprattutto nei discorsi della fazione antiabortista pro-life, che ha storicamente mobilitato argomentazioni giuridiche e scientifiche basate su pretese di verità labili tanto quanto le opinioni dei suoi sostenitori. Il principale argomento proposto dal fronte antiabortista è il valore sacro della vita; esso, però, muta in base alle epoche e alle culture: oggi c’è una grande esaltazione del valore della vita infantile quando fino agli anni ’70 del secolo scorso non era ancora stata proibita per legge la partecipazione dei bambini alla guerra; ciò significa che il valore attribuito alla vita infantile, promulgato dalla Chiesa cattolica (principale fonte dei missionari pro-life) come valore primario e fondamentale di una società che possa dirsi “giusta”, in realtà non è così universale ed è relativo ai contesti e sempre strumentalizzato12. Potrebbe inoltre risultare contraddittorio, da parte del fronte antiabortista, circoscrivere l’importanza della vita all’esistenza intrauterina, considerando che la vita della madre non viene posta sullo stesso piano valoriale; tali contraddizioni sembrerebbero confermare la teoria secondo cui alle motivazioni morali proposte dal fronte antiabortista sottostiano invece ragioni biopolitiche e di controllo. Il non avere autorità sul proprio corpo è infatti una «specie di schiavitù»13, la quale priva le donne della loro libertà ed autonomia, costringendole a scegliere tra il rispetto della legge dello Stato e di Dio e la propria salute fisica e mentale.
La storia sanitaria, morale e giuridica dell’aborto è stata molto travagliata: per secoli si è praticato illegalmente in contesti terrificanti dove quasi sempre l’intervento – per via delle pessime condizioni igieniche e delle scarse conoscenze delle mammane e degli improvvisati dottori – procurava la morte anche della madre (ragion per cui molto spesso le gestanti preferivano concludere la gravidanza e ricorrere solo successivamente all’infanticidio).
Grandi passi in avanti sono stati compiuti dal secolo scorso a oggi e in molti paesi del mondo, soprattutto occidentali, l’aborto è divenuto una pratica autorizzata dalla legge. Nonostante ciò, non sono poche le restrizioni legislative che permettono solo a una parte delle donne di poter realmente usufruire di questo diritto: in quasi tutti i paesi il termine di legalità dell’interruzione volontaria di gravidanza è la dodicesima settimana di gestazione (in alcuni è addirittura l’ottava, momento in cui moltissime donne non sono ancora a conoscenza di essere incinte); solo in alcune nazioni è concesso l’aborto con motivazioni di stampo psicologico, sociale ed economico – come il desiderio o meno della gestante di diventare madre o la volontà di portare avanti una gravidanza nonostante la giovane età, la situazione economica sfavorevole, il giudizio sociale negativo o il contesto familiare ostile – mentre nella maggior parte dei paesi le motivazioni da addurre a sostegno della propria decisione devono essere la salvaguardia della salute della madre, la conoscenza tramite ecografia di gravi malformazioni del feto o (ma non in tutti i paesi) l’essere vittime di un abuso sessuale. Tutte le misure che abbiamo elencato sono volte al controllo della popolazione e del singolo, tramite la regolamentazione legislativa di una scelta biologica; possiamo addurre – dalla vastità di tali restrizioni e dall’animosità dei movimenti sociali di entrambi i fronti – che la problematica abortista sia ancora lontana dal concludersi, e che di conseguenza il discorso sulla biopolitica sia ancora attuale e intellettualmente e politicamente fecondo14.
A tal proposito non sono stati pochi gli studi sull’uso dell’aborto come mezzo di controllo di crescita della popolazione, in particolare nel 1964 Mumford e Kessel15, attraverso varie indagini statistiche, hanno concluso che l’aborto legalizzato era necessario in alcuni paesi non-occidentalizzati per il contenimento della crescita demografica, poiché l’uso di anticoncezionali ne era condizione necessaria ma non sufficiente. In questi casi il desiderio personale di non avere figli coincide con le necessità dei governi che «debbono fare i conti con le disastrose conseguenze di una crescita incontrollata della popolazione»16: risulta chiaro come siano i processi economici a sottostare alle regole della questione abortistica, e il corpo delle donne sia disciplinato e regolamentato in base alle esigenze demografiche ed economiche della nazione in cui vivono.
È  necessario riflettere sulla possibilità di definire realmente democratico un paese in cui non vi è libera scelta in relazione a decisioni così importanti e intime. Non è necessario affermare che per l’esistenza di una società ogni membro deve sottostare ad alcune regole, per la salvaguardia della convivenza civile. Ciò che qui si tenta di problematizzare è la pretesa di controllo imposta ad alcuni aspetti della vita così personali da divenire una vera e propria violenza, tale da rendere difficile se non impossibile il libero sviluppo delle persone che a essa vengono sottoposte; l’essere umano viene spogliato delle sue capacità creative quando non gli viene data opportunità di scelta, quando la strada da percorrere è già solcata anche in scelte così significative17. Quindi in un contesto biopolitico – nel quale la vita si trasforma in un dato, oggetto di statistiche e di politiche demografiche – dove va a finire il soggetto esperienziale, i suoi desideri e la sua volontà?18
Quando ad essere considerata degna d’importanza è solo la zoè dell’uomo/specie, dove va a finire la vita individuale, il bìos?

 

I movimenti sociali nel dibattito sull’aborto

Toni Negri, intellettuale e politico italiano molto influente a livello internazionale, condivide il discorso foucaltiano al quale aggiunge che la biopolitica – oltre a essere il contesto di diffusione del potere centrale – è anche l’utero in seno al quale si forma e modella una Moltitudine cosciente della propria subordinazione che tenta di ergersi a soggetto rivoluzionario per conquistare spazi di autonomia non solo giuridica, ma anche quotidiana e decisionale19. Tale libertà si radica e viene rivendicata nel linguaggio, nei desideri, nella sessualità e nei corpi e tenta di resistere alla subalternità tramite una carica creativa e vitale. Questa Moltitudine si è storicamente concretizzata nei movimenti sociali, attori politici tramite cui le masse hanno dato voce alle proprie rivendicazioni, riconoscendo il comune bisogno di opporsi al controllo governativo soprattutto negli ambiti personali della propria esistenza. La «vita sfugge al potere senza posa»20 anche grazie alle grandi lotte per i diritti sociali (alla vita, al corpo, alla felicità), diritti diversi da quelli economico-politici per cui si protestava negli scorsi decenni perché diverso è il potere contro il quale si lotta e maggiore è il suo grado di invasività nella vita quotidiana.
Il movimento femminista ha il merito di aver posto all’attenzione mediatica il fatto che la subalternità della donna fosse fondamentalmente un fatto politico, sociale e culturale, non biologico. Dagli anni ’70 del secolo scorso il movimento si è indirizzato verso obiettivi concreti e quello della legalizzazione o depenalizzazione dell’Interruzione volontaria di gravidanza fu uno di questi: così videro la luce i movimenti pro-choice, a favore dell’autonomia decisionale della donna in ambito procreativo. Repertori d’azione del movimento furono le grandi manifestazioni di massa, l’organizzazione di aborti autogestiti, le autodenunce collettive21 e le proteste in difesa di specifici medici e donne processati per presunta Ivg. Tali azioni protestative furono accompagnate dalla nascita di associazioni e gruppi creati per dare sostegno legale, pratico ed emotivo alle gestanti, tramite la costruzione di un ampio sistema di consultori, corsi di self-help e di medicina alternativa. Fu infatti proprio il duro e ininterrotto lavoro di questi soggetti politici che – raccogliendo sempre più adesioni tra l’opinione pubblica e i partiti politici di sinistra – portò alla promulgazione di tutte le leggi sull’Ivg tra gli anni Settanta e Ottanta.
Nonostante grandi passi in avanti siano stati fatti dall’inizio delle lotte dei movimenti, queste non possono dirsi spente poiché esistono ancora moltissimi impedimenti all’accesso all’aborto per moltissime donne in tutto il mondo; tra questi contrasti in Italia appare oggi – oltre alla diffusissima obiezione di coscienza (nel 2008 in Basilicata i medici obiettori  costituivano l’83,2% del totale nelle strutture pubbliche22) e alla presenza dei pro-life nelle strutture sanitarie – il limite legislativo posto all’assunzione della pillola abortiva RU486 che, essendo capace di interrompere la gravidanza senza sottoporre la donna a intervento chirurgico, sarebbe fondamentale in un periodo nel quale a causa della diffusa epidemia da Covid19 doversi recare in ospedale o in clinica può essere rischioso, oltre che più invasivo. I movimenti sociali sono motori del mutamento sociale e la assoluta necessità dei movimenti pro-choice e la loro permanenza sullo sfondo politico contemporaneo deriva dalla persistenza di politiche pubbliche e statali che tentano di minare il diritto di autonomia decisionale e riproduttiva femminile23.
Per la comprensione della situazione dei movimenti sociali italiani contemporanei è necessario lo studio di Non Una Di Meno, il movimento femminista più importante in Italia oggi. Come afferma lo stesso sito del movimento, una delle battaglie in cui esso ha investito e continua a investire moltissime delle sue risorse è quella per il diritto all’Ivg. Non Una di Meno collega il tema dell’aborto al più ampio discorso femminista sul diritto alla salute, interpretato come necessario all’autodeterminazione femminile sul proprio corpo e sui propri desideri. Dalla nascita del movimento sono stati organizzati molti eventi di protesta sia dislocati nelle varie città d’Italia sia diffusi e coordinati su tutto il territorio nazionale. Per sostenere queste mobilitazioni è nato l’hashtag #MOLTOPIUDI194, a simboleggiare le richieste del movimento: personale medico obiettore fuori dagli ospedali pubblici, pillola abortiva RU-48619 accessibile e senza ospedalizzazione, costruzione di spazi autogestiti in cui condividere esperienze e reciproco sostegno, messa in discussione dei rapporti di potere e di genere anche all’interno degli ospedali, miglioramento dei servizi sanitari pubblici e dislocati territorialmente (specificatamente i consultori familiari)24.
È necessario specificare che non mi propongo di criticare l’ingerenza legislativa nelle questioni private in ogni situazione o contesto, ma desidero porre all’attenzione dei lettori il fatto che la diffusione e la capillarità della biopolitica facciano sì che ormai non la si noti neanche più e che si dia per scontato che lo Stato abbia il diritto di legiferare su questioni così personali e intime. Siamo talmente immersi in questa ingerenza (che spesso si tramuta in violenza, fisica o psicologica che sia) da non porre neanche in dubbio la sua legittimità, da non chiederci se sia possibile un altro modo di vivere in uno Stato che non comprenda l’annullamento di alcune intime libertà. Ed è proprio in questo contesto di generalizzata cecità e accettazione che i movimenti sociali innestano il loro discorso e la loro lotta, problematizzando ovvietà ormai radicate nella nostra società.
Ciò che collega l’attuale situazione mondiale alla questione abortista è una problematizzazione di carattere sociale, costituzionale, filosofico: fino a che punto la libertà dei singoli individui può essere sacrificata in nome della sanità pubblica? L’uomo moderno è terrorizzato dalla morte e dalla malattia e le categorie di Agamben25 di zoé e bìosappaiono attuali e feconde: pur di non rinunciare alla nostra appartenenza alla zoé, alla nuda vita, al mero fatto di esistere e respirare, sacrifichiamo il nostro bìos, la nostra vita qualificata, che comprende le azioni che ci definiscono in quanto individui: lo stare insieme a chi amiamo, il lavorare, il viaggiare, il poter camminare all’aria aperta. In situazioni come queste lo Stato detiene un potere ampissimo sui suoi cittadini, tanto grande da poter prendere decisioni anche riguardo ambiti privatissimi26.
Quando potremo tornare a quella che fino ad ora abbiamo ritenuto essere la nostra normalità, ci chiederemo se non sia stato rischioso lasciare un potere tanto capillare nelle mani dei vari governi e degli Stati. E – qualsiasi sarà la risposta a tale domanda – non potremo non essere almeno un pizzico spaventati dalla quantità di potere che lo Stato esercita su di noi, potendoci imporre di proseguire una gravidanza indesiderata o definendo perentoriamente la distanza fisica che dobbiamo mantenere da un nostro conoscente in fila al supermercato.
E cos’è questa se non biopolitica?

 

Note

1 D. F. Wallace, This is water. Discorso pubblico tenuto al Kenyon College durante la sua cerimonia di diploma, 2005.
2 D. D’Alessandro, La vita del potere. Una storia filosofica e politica, Morlacchi Editore U.P., Milano 2017.
3 L. Bazzicalupo, Biopolitica: una mappa concettuale, Carocci, Roma 2010, p. 20.
4 M. Foucault, Biopolitica e territorio: i rapporti di potere passano attraverso i corpi, Mimesis, Milano 1996, p. 23.
5 M. Foucault, Storia della sessualità. Volume I, La volontà di sapere, tr. di P. Pasqualino e G. Procacci, Feltrinelli, Milano 2001, p. 124.
6 R. Campa, «Biopolitica e biopotere. Da Foucault all’Italian Theory e oltre», in Orbis Idearum. European Journal of the History of Ideas(ISSN: 2353–3900), Vol. 3, Issue 1, 2015, pp. 125–170.
7 M. Foucault, Storia della sessualità. Volume I, La volontà di sapere, tr. di P. Pasqualino e G. Procacci, Feltrinelli, Milano 2001, p. 124.
8 D. D’alessandro, La vita del potere. Una storia filosofica e politica, cit., p. 27.
9 C. Cossutta, «Maternità e biopolitica. Nodi di potere tra scienza e naturalizzazione», in Districare il nodo genere-potere, 21-22 febbraio, Trento 2014, p. 10.
10 Ibidem.
11 Ivi, p. 8.
12 L. Barajas Ramírez, «Fronteras de la biopolítica en el debate sobre el aborto», in Eikasia Revista de Filosofia, dicembre 2017.
13 R. Dworkin, Il dominio della vita: aborto, eutanasia e libertà individuale, tr. di C. Bagnoli, Edizioni di Comunità, Milano 1994, p. 141.
14 C. Flamigni, L’aborto: storia e attualità di un problema sociale, Pendragon, Bologna 2008.
15 Stephen Mumford ed Elton Kessel sono i dirigenti di due importanti associazioni americane, rispettivamente della North Carolina-based Center of Research on Population and Security e dell’International Federation for Family Health.
16 C. Flamigni, L’aborto: storia e attualità di un problema sociale, cit., p. 10.
17 J. L. Tejeda González, «Biopolítica, control y dominación», in rivista online Espiral (Guadalaj.), vol. 18, n. 52, pp. 77-107, ISSN 1665-0565, 2011.
18 L. Barajas Ramírez, «Fronteras de la biopolítica en el debate sobre el aborto».
19 M. Hardt e A. Negri, Empire, Cambridge: Harvard University Press 2000; tr. di A. Pandolfi, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, Rizzoli, Milano 2002.
20 M. Foucault, Storia della sessualità. Volume I, La volontà di sapere, cit., p. 126.
21 Famoso fu il Manifeste des 343 salopes (Manifesto delle 343 puttane) pubblicato in Francia nel ’71, nel quale 343 donne – tra cui Simone de Beauvoir – dichiararono pubblicamente di aver scelto il ricorso all’aborto volontario in seguito a una gravidanza indesiderata.
22 C. Flamigni, L’aborto: storia e attualità di un problema sociale, cit.
23 Per un approfondimento sui movimenti sociali pro-life e pro-choice consultare i siti web gestiti dagli attivisti www.prolife.it e www.prochoice.it.
24 Per un approfondimento consultare il sito del movimento www.nonunadimeno.wordpress.
25 G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995.
26 Per un approfondimento sul paradigma biopolitico consultare il testo di M. Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al collège de France anni 1978-1979, a cura di F. Ewald, A. Fontana e M. Senellart, tr. M. Bertani e V. Zini, Feltrinelli, Milano 2005.

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