Mente Corpo Tempo in Di Spazio. Uno studio non convenzionale del Quando

Di: Lucrezia Fava
4 Gennaio 2022

 

Fuori dal tempo, nella Mente Errante

«Dove e come si studia la medicina del Quando1 chiede Vincenzo Di Spazio, medico psicosomatico, promotore di una metodologia clinica olistica, notando come le scienze mediche trascurino la fondamentale questione del Tempo e ignorino quanto possa essere utile anche per esse affrontarla. Di Spazio, che invece è consapevole dell’importanza di una medicina del Quando, conduce la sua ricerca sul rapporto esistente tra l’evoluzione temporale dei vissuti umani e i mali di cui soffrono gli individui. La sua indagine implica perciò un riconoscimento fondamentale che la rende innovativa, profonda e proficua: il riconoscimento che è opportuno lavorare sulla genesi temporale dei disturbi psicosomatici, e in generale associare una condizione di crisi del sé anche e soprattutto a una crisi, un’alterazione, una caduta del suo dinamismo temporale, e al contrario, uno stato di cura e benessere del sé, a una cura, un accordo, un’armonizzazione delle modalità temporali della vita. Infatti, se «lo spaziotempo costituisce l’esperienza fondamentale dell’umano e del suo stare al mondo, la radice profonda delle psicopatologie non può che coinvolgere la percezione e la rappresentazione del tempo. Il distacco dalla realtà, qualunque forma esso assuma, è un distacco dal fondamento temporale della vita umana»2. Mentre l’adesione alla realtà, la partecipazione istintiva, voluta e pianificata a essa, non può che sottendere la propria immedesimazione con il Tempo in cui e grazie a cui ogni cosa viene all’essere.
Da un lato, dunque, la malattia mentale (con la sua dimensione corporea) intesa come autoesonero dalla realtà presente mentre si spendono le proprie energie in pensieri sbrigliati, erranti, ciechi a quella ulteriorità, originalità,  transitorietà di eventi che costituisce il Presente; mentre s’infrange dall’interno la propria quotidiana dedizione alla realtà circostante e si inseguono pensieri che si ripetono in ogni luogo e tempo e che sembrano offuscare ciò che avviene oltre di essi; mentre la propria mente è rivolta alla e dispersa nella virtualità di eventi già passati o non ancora accaduti. Dall’altro lato, la salute mentale come lucida immersione in tutto ciò che è in fieri attorno a sé e in sé, come Azione non solo prefigurata ma anche agita nella continuità del Presente, complessivamente sintonizzata con le dinamiche, gli avvenimenti, gli enti, i significati del mondo manifesto. Sono queste le idee di fondo che possiamo approfondire attraverso le analisi Di Spazio e le categorie che egli utilizza per esporre con semplicità la sua teoria e il suo metodo terapeutico.
Poiché il nostro interesse è curarci del vissuto temporale del sé –  curare il tempo esistenziale e fare del tempo esistenziale la cura – consapevoli del fatto che il Tempo sia a fondamento della crisi dell’umano così come della sua piena realizzazione, una delle prime questioni da affrontare è come avviene nella propria vita d’entrare in uno stato di sofferenza psicofisica dal quale può risultare impossibile uscire, e nel quale il presente sembra essere soltanto un parcheggio per la sosta o il ritorno del proprio stato di malessere, una parentesi in cui chiudersi fuori dalla luce di ciò che va accadendo e non lasciarsi permeare da nulla se non dal proprio male, un vuoto per infiggersi, come un corpo estraneo, nell’unitarietà del mondo circostante, che in tale condizione esistenziale non può che apparire frammentato, caotico, opprimente, dispersivo. Mentre invece, in virtù della sua stessa ontologia, il sé dovrebbe sentire d’appartenere al tempo dei fenomeni, d’essere sempre congiunto all’accadere e al ritmo di ogni cosa, d’essere destinato a partecipare al mondo e a scoprire come ricavare benessere e felicità da questa sua appartenenza.
Sicuramente il primo segnale generale di uno stato di crisi è la perdita dell’usuale sicurezza e familiarità con cui ci si muove tra le proprie cose. Sul piano neurobiologico si verifica una rimodulazione del funzionamento fisiologico del sistema nervoso autonomo (sna): tale sistema, tramite i nervi cranici, recepisce un mutamento negativo nel rapporto del corpo con il suo ambiente abituale, quindi attiva schemi di difesa e sopravvivenza funzionali all’organismo. Sono schemi arcaici, sviluppati e tarati dall’organismo nel corso della sua evoluzione filogenetica, che rallentano e congelano l’azione/il movimento dell’organismo in connessione con certi rischi, in maniera per l’appunto funzionale alla sua vita.
Tuttavia, lo stato di allerta e immobilità dell’organismo può diventare eccessivo, perdurando più delle condizioni ambientali in rapporto alle quali risulta fisiologico e benefico e danneggiando così la salute dell’organismo. Questa situazione si verifica anche perché l’allarme recepito dal sna viene codificato cognitivamente, la codifica cognitiva conferma la necessità della rimodulazione degli schemi del sna e alimenta in questo modo un loop da cui si fatica a uscire. Gli eventi traumatici e più in generale critici – quegli eventi da cui si può essere condizionati così a fondo da trovarsi poi a imprimere ossessivamente sui propri vissuti ulteriori le emozioni, i comportamenti, i pensieri, in generale i segni o gli effetti che essi hanno provocato nel sé – generano proprio tale loop: la mente traduce avvenimenti simili in una narrazione negativa che acuisce le condizioni psicofisiche scatenate da quei traumi; da queste condizioni psicofisiche sempre più gravi e persistenti, la mente riceve delle conferme alla sua narrazione e continua perciò a ripeterla nel tempo, lasciando che essa interferisca nel presente e che il presente la riaffermi.
Succede spesso, dunque, che «la mente non sia in grado (o non abbia intenzione) di metabolizzare il vissuto traumatico. Questa frattura cognitiva si esplicita con la genesi di una narrazione tossica dell’evento che si amplifica con l’insistente ripetitività di pensieri a contenuto negativo. La replicazione invasiva di questo loop mentale, se non adeguatamente trattata, può condizionare la comparsa di patologie psichiatriche o costituire l’innesco di malattie somatiche. Qui la mente si trasforma in Mente Errante, un potente antagonista che non combatte per preservare l’individuo ma opera in modo distruttivo soffocando la positiva reattività dell’organismo»3.
Catturato dalla Mente Errante il sé viene trascinato in una virtualità di cose passate o future, già successe o non ancora accadute, e tuttavia in grado di condizionarlo a fondo in qualsiasi momento e luogo egli sia; finisce in una dimensione apparentemente sospesa e distaccata dalla situazione immediata e mutevole in cui il suo corpo è pur sempre immerso. Una dimensione che è pesante sotto ogni aspetto (emotivo, cognitivo, fisico) poiché comporta un profondo dissidio con se stessi, una tensione sfibrante in cui gli elementi tossici del sé – pensieri/stati d’animo/credenze/giudizi critici, dispersivi, incontrollati, aggressivi, avvilenti, sabotanti – collidono con il bisogno di resistere a tutto ciò, di non dissiparsi, di non fermarsi e logorarsi in questa lotta, per poter essere ancora in grado di dedicarsi all’alterità circostante (cose, eventi, relazioni, attività) che continua a investire e richiamare l’individuo, a mutare irreversibilmente insieme alla nebbia mentale con cui egli si trova a viverla e misconoscerla. Come nota Di Spazio, si finisce in una situazione analoga a quella del salmone: pur di deporre le uova nel luogo in cui è nato, risale il corso d’acqua controcorrente esercitando una resistenza per la quale rischia di morire. Per non vivere in una tensione autodistruttiva la soluzione, infatti, non è opporre sempre più resistenza alla (propria) Mente Errante ma è imparare a non innescare, o a disinnescare, il conflitto con essa.

 

L’antidoto alla Mente Errante: Vigilanza, Azione e Presente

Come non innescare tale conflitto? È un dato comune l’incapacità di superare certi automatismi psicofisici nonostante il male che provocano nella propria esistenza; è un dato comune anche la naturalezza con cui spesso li si asseconda e ripete, anche soltanto per inerzia. Bisogna chiedersi, quindi, se e fino a che punto una persona possa e voglia effettivamente liberarsi di ciò che intossica la sua vita, o in altre parole, se «la mente desidera integrare l’esperienza dolorosa oppure no»4.
I fattori che possono impedire l’elaborazione di un trauma sono ovviamente innumerevoli. Tra i più generali, ad esempio, c’è il fisiologico invecchiamento dell’organismo, o comunque una condizione di indebolimento fisico che spinge a ridurre e serrare il proprio spazio vitale, il perimetro cioè di tutto ciò che si è in grado di svolgere con naturalezza, sicurezza, familiarità. Un organismo più fragile, infatti, si allarma più facilmente per i rischi inevitabili che comporta l’apertura ad altro, la permeabilità della propria quotidiana comfort zone a uno spaziotempo differente; quindi prova a evitare tali rischi elaborando una visione assai limitante di se stesso, fomentando pensieri che lo debilitano, che sabotano le sue intenzioni e i suoi progetti, che ammorbano, sfibrano la complessiva evoluzione temporale della sua esistenza.
La Mente Errante prende il sopravvento sull’individuo proprio quando egli si avverte più indifeso. Naturalmente, anche il profilo genetico condiziona il proprio stato di forza o debolezza: indagini cliniche5 hanno mostrato come alcuni individui siano geneticamente più predisposti a sviluppare sintomi nevrotici che possono degenerare – anche in risposta a circostanze che normalmente le persone non vivono in maniera traumatica – in patologie depressive e in una più ampia deriva mentale.
Un’altra ragione per cui lo sforzo di sottrarsi al giogo di pensieri dolorosi può risultare troppo difficile o proprio insostenibile sta nel fatto che lo stato mentale che fomenta questi pensieri appartiene all’identità fondamentale dell’individuo, al suo essere, complessivamente, mente o più esattamente corpomente. L’«identificazione dell’umano con la mente nasce come dato acquisito: io sono la mente e viceversa»6. Pertanto, anche le visioni più tossiche per l’organismo sono una parte costitutiva dell’identità individuale di ogni umano, sono del materiale con cui essa si modella, si scopre e si definisce, e in cui può sentirsi sicura, nel senso che proprio nei composti nocivi della mente ha la sicurezza di riconoscersi, di sapere di sé. Pur nascendo da una situazione di profonda insicurezza personale e più in generale da una condizione psicofisica eccezionale, anche le visioni limitanti di se stessi, rimuginate continuamente, diventano una fonte sicura di nutrimento con la quale poter stare al mondo; e poiché forniscono un sostentamento, il corpomente continua a ricordarle e a normalizzarle, fino ad assuefarsi a esse. «Il vissuto traumatico diventa – grazie alla complicità della Mente Errante – un modus vivendi che genera una nuova identità, quella del traumatizzato. Questa identificazione è in grado comunque di produrre un vantaggio inaspettato e non trascurabile, anche se inconsapevole nella maggioranza dei casi: il vantaggio della sicurezza. La sicurezza è il cardine della nostra esistenza e la Mente lo sa»7.
La difficoltà a integrare e diluire nel flusso dei propri vissuti quelli più traumatici dipende inoltre dal fatto che essi sono carichi di emotività, cioè hanno una forza che li rende particolarmente aggressivi, insistenti e ripetitivi. E la stessa ripetitività, a sua volta, è qualcosa che rinforza l’aggressività e la resistenza di quei vissuti. Il processo mentale di cui parliamo è infatti sempre, sotto ogni aspetto, un processo circolare.
Dato che la causa principale per cui falliscono i tentativi dell’individuo di liberarsi da uno stato mentale opprimente, disordinato e patologico è il suo stesso attaccamento alla sua condizione morbosa, la soluzione più plausibile per guarire consisterà, chiaramente, in una forma di distacco dalla Mente Errante, di disidentificazione da essa. A tal proposito Di Spazio parla di defusione cognitiva, ricorrendo al neologismo inglese defusion per indicare il processo inverso di una fusione, e specificando che tale processo richiede una certa mediazione sensoriale, vale a dire una mediazione adatta a trarre fuori la coscienza dalla sua dispersione mentale, dirigendola nel tempo presente della corporeità, agganciandone le idee, le intenzioni, gli scopi, le emozioni con quanto accade nella realtà circostante. Di Spazio mette a punto un preciso metodo terapeutico di defusione cognitiva a mediazione sensoriale (DCMS); in seguito vedremo meglio in cosa consiste questo metodo, intanto è utile conoscere le indicazioni da seguire affinché sia possibile distanziarsi e distinguersi dalla Mente Errante, scrollarsi di dosso il peso paralizzante dei suoi pensieri e tornare a una condizione psicofisica sostenibile e sana, a uno sviluppo temporale dei propri vissuti non traumatico e non rinnegato, ma armonico e coscientemente mantenuto.
La prima indicazione è vigilare sullo stato dei propri pensieri, consapevoli del fatto che possono diventare, per l’appunto, Mente Errante: il nemico, il tiranno, il sabotatore interiore che ossessiona, avvilisce, immobilizza il proprio bíos. Quindi serve apprendere le strategie del nemico: la Mente Errante immagina e valuta i vissuti individuali, non li agisce nella situazione presente; rimugina dati mnestici di cose avvenute in passato e si figura cose non ancora accadute, distogliendo il sé dai dati originali del presente; essa «utilizza la rappresentazione mentale del tempo come arma letale per imprigionare la sua vittima»8; inoltre, la prigionia che essa esercita sulla coscienza attraverso la rappresentazione del tempo è tanto più forte quanto più questo tempo è riempito dalla stessa Mente Errante di giudizi emotivi. In preda alla Mente Errante, infatti, l’io giudica continuamente se stesso in rapporto a ciò che ha già vissuto o potrebbe vivere in futuro, e i suoi giudizi sono così pesanti, limitativi, tossici, perché sono congiunti agli stati d’animo negativi associati a quei vissuti. «La tossicità», afferma Di Spazio, «è subordinata al legame micidiale fra giudizio ed emozione (giudizio sentito)»9.
La Mente Errante colpisce la naturale capacità dell’individuo di elaborare il suo vissuto temporale trascinandolo in degli scenari virtuali che sembrano coerenti e funzionali ai giudizi formulati da essa stessa e che risultano, proprio per la loro coerenza e funzionalità apparenti, fagocitanti per l’organismo e controproducenti non soltanto per esso ma anche per l’ambiente in cui vive. La Mente Errante infatti ha effetti negativi anche sul comportamento che si ha verso gli altri umani e gli altri enti in generale; suscita delle risposte disturbate a ciò che va accadendo perché rende insensate e patologiche le categorie di lettura con cui vengono compresi gli eventi; fa del mondo vissuto in un tale stato mentale un posto inospitale, il quale mostra soltanto ciò che giustifica e aggrava lo stato di sofferenza con cui lo si vive.
Il primo passo verso la via d’uscita, dunque, è vigilare e prendere consapevolezza dei meccanismi del proprio sabotatore interiore. Il secondo passo, con cui si imbocca davvero l’uscita, è invece l’Azione con cui ci si dedica al Presente. Il dinamismo del corpo nel luogo e nel tempo presente, il suo coinvolgimento psicofisico diretto e consapevole in ciò che succede, è di per sé risolutivo. «La transizione dall’inazione all’azione, il passaggio dal Virtuale al Reale, è vincente, ed è tale perché è sganciata dal giudizio della Mente che invece si esprime con valutazioni di grandezza e di importanza (azione piccola o azione grande, sufficiente o insufficiente, da dimenticare o da ricordare). La partita (non la battaglia) con l’avversario interiore si vince nel momento in cui sovvertiamo i suoi ordini e le sue aspettative per generare un’efficace, positiva immersione nella Realtà: la Mente, il Nemico o l’Avversario, adora immaginare la vita, non agirla»10.
Il principio generale di un metodo terapeutico come quello di Di Spazio è dunque il seguente: maggiore è la cura nella gestione della realtà circostante e attuale, minore è il tempo trascorso nelle maglie della Mente Errante, cioè nell’immobilità di un mondo virtuale che sembra eclissare il luogo proprio del Presente. Solo nel Presente – il luogo dell’avvenimento dei fenomeni, della differenziazione continua e irreversibile degli eventi, del mutamento strutturale di ogni cosa – si va sempre oltre, anche oltre i propri vissuti più dolorosi e patologici; per questo i meccanismi che ci estraniano da esso ci allontanano anche da forme di salute, gratificazione e pienezza esistenziale.

 

Defusione Cognitiva a Mediazione Sensoriale: la sua pratica, il suo limite

Sul piano pratico e clinico il metodo terapeutico di Di Spazio, la Defusione Cognitiva a Mediazione Sensoriale (DCMS), si articola in tre passaggi consecutivi che sono l’intenzione, l’azione e la ripetizione, e serve per imparare a osservare da semplici spettatori i propri pensieri e non farsi trascinare e arrestare da essi.
L’intenzione consiste nel mettere a fuoco il contrasto interiore definendo le proprie emozioni e ciò a cui sono dovute; quindi nell’ammettere quale giudizio si ha di sé e della situazione in cui ci si trova. Dei giudizi intenzionali (che riporto dalle testimonianze riferite da Di Spazio) possono essere ad esempio: «Mi sento disonesta verso il mio compagno, perché quando ho abortito non sapevo se il figlio fosse mio o di un altro»; «sono molto arrabbiata con il mio compagno perché non è mai abbastanza quello che sono per lui»; «odio mia figlia perché si accompagna a un violento». Da questi esempi è chiaro che affinché un momento di riconoscimento abbia successo è necessario anche che il giudizio sia quanto più semplice, lineare e onesto possibile.
L’azione sta nel verbalizzare su un foglio di carta il proprio giudizio, specificando la data in cui viene espresso e disegnando sopra il testo una sinusoide come simbolo dell’inversione emotiva (o in altre parole, della liberazione della carica emotiva negativa) che la persona deve compiere mediante tale pratica di intenzione-azione-ripetizione. Inoltre, il foglietto dev’essere letto ad alta voce e con tonalità comica (ad esempio tappandosi il naso): va letto e non recitato a memoria perché attraverso lo sguardo il corpo si focalizza meglio sul dato presente; invece la voce dev’essere comica perché anche questo è un modo per ridurre l’emotività connessa al giudizio, per alleggerirne il dramma e il peso. Nel complesso tale esercizio «facilita lo spostamento del giudizio invertendone il segnale da virtuale a reale; per la prima volta ho l’opportunità di leggere quello che sento, non di pensarlo solamente. In questo modo mi è possibile radicare nel Presente, nel mondo antitetico a quello della Mente, il contenuto tossico di pensieri sabotanti»11.
La ripetizione quotidiana della lettura, infine, serve a circoscrivere e fissare al momento della lettura il contenuto del foglio, quindi a ridurre ed esaurire (come avviene in ogni esercizio fisico) la carica emotiva negativa associata a quei pensieri; è un gesto con cui si scarica il peso che si ha sempre addosso.
Di Spazio non ci informa sui risultati individuali né su quelli complessivi dell’applicazione della DCMS, ma avverte che è opportuno praticarla insieme alla guida di uno specialista affinché abbia un buon esito – d’altra parte il suo interesse è innanzitutto illustrare ai lettori il senso e i concetti generali del suo metodo. Sicuramente, al di là dei risultati positivi che egli ha potuto verificare, i principi su cui si fonda la DCMS presentano alcune limitazioni sulle quali serve riflettere al fine di rendere sempre più adatto ed efficace tale metodo. Si è già accennato ai limiti principali e generali di un processo di disidentificazione dalla Mente Errante, ma vediamoli nuovamente con più chiarezza.
Il primo limite, quello più evidente/superficiale, è la naturale resistenza dell’individuo a mutare il suo costante, tipico e familiare sistema di vita nonostante questo sistema sia causa di disturbi e patologie e la possibilità di mutarlo sia l’unico modo per acquisire una condizione di salute e benessere. Di conseguenza anche un percorso curativo può sembrare una minaccia, qualcosa da evitare «perché si preferisce la sicurezza negativa del dolore, un luogo tossico ma conosciuto. Cosa accadrà se perdo l’àncora che mi fissava all’abisso del malessere?»12.
Il secondo limite, più profondo e sostanziale, è dato invece dal fatto che l’identità di un essere umano consiste proprio in ciò che si è chiamato «mente» o «corpomente». Infatti, se è vero che «io sono la mente e viceversa» e che la Mente Errante è uno specifico stato (morboso) dell’io, una fenomenologia (critica, insana) della propria identità umana, mi sembra che sia molto difficile, se non impossibile, sottrarsi a se stessi, o per essere più chiari, rimuovere da sé uno stato intrinseco alle possibilità congenite del nostro organismo. Con questo non intendo dire che non esiste cura per la Mente Errante, anzi, riconosco che sono fondamentali delle ricerche come quelle Di Spazio, finalizzate a comprendere e spiegare come non innescare/disinnescare processi mentali dannosi per l’organismo. Tuttavia, per quanto ci si possa addestrare «a considerare la Mente Errante come un virus che ha infettato il Pensiero; […] qualcosa di esterno che mette in grave pericolo la vita stessa»13, penso sia improbabile una disidentificazione netta e definitiva dalla fisionomia della Mente Errante, proprio perché essa appartiene radicalmente all’identità umana e si è sempre nella possibilità d’acquisirla. Io non sono soltanto la vittima di un eventuale stato psicofisico di arresto e malessere; sono anche il tiranno che crea la prigionia e vi comanda. Non posso assumere la prima identità senza che abbia già assunto anche l’altra.

 

Cronobiocibernetica

La teoria della Mente Errante riguarda fondamentalmente alcuni modi essenziali in cui la persona può vivere il suo tempo passato, presente e futuro; quindi è un’analisi chiaramente legata al tema della temporalità ontologico-esistenziale dell’umano ed è anche, sotto questo aspetto, un esito coerente e recente della ricerca che Di Spazio conduce da oltre un ventennio sul plesso organico di corpo e tempo. Le indagini di Di Spazio presentano infatti dati, risultati e chiarimenti importanti per la conoscenza sia scientifica che filosofica del tempo. Perché in esse il tempo è presente – anche se spesso in maniera implicita a categorie e osservazioni mediche – come materia, tessuto connettivo, logica e dinamica complessiva di ogni elemento e funzione del nostro organismo; quindi come continuo vissuto temporale da cui e in cui confluisce ogni movimento e stato del nostro corpo; come processo unitario e sempre differente degli eventi corporei, identità stessa del corpo umano, o in una parola, «corpotempo». Una parola essenziale, quest’ultima, della metafisica materialista e temporale di Alberto Giovanni Biuso, con la quale la prospettiva teoretica e scientifica Di Spazio converge perfettamente, come si nota subito dal fatto che anche Di Spazio formula espressioni indicative della radicale congiunzione di corpo e tempo quali, ad esempio, «mappaggio spinale del tempo (Spinal Age-Mapping)», «modello cronobiologico» del corpo umano, «equivalenze spinotemporali»14.
La conoscenza del corpotempo non può naturalmente non includere (anche) lo studio della memoria umana, la quale nasce, evolve, muta e si conserva proprio dalla temporalità e nella temporalità del corpo. I risultati scientifici del lavoro di Di Spazio vertono proprio su questo: sul nesso esistente tra lo sviluppo temporale di un individuo, i dati mnestici che in tale sviluppo si riproducono e fondono nell’identità individuale, e le reti neurali che trasmettono questi dati. Più precisamente: Di Spazio esamina i dati mnestici che possono essere plausibili concause di patologie e disturbi psicosomatici perché nascono da eventi traumatici in grado di incrinare e sconvolgere il normale stato di salute dell’organismo. Anche per questo dà ai propri studi il nome di «cronobiocibernetica», cioè scienza del governo delle dinamiche temporali dell’organismo (il termine cibernetica deriva dall’antico sanscrito e significa timone, ma è stato associato anche al greco κυβερνάω, che vuol dire appunto governare, guidare, dirigere, reggere, nel doppio senso del genitivo. Da un lato, infatti, è il governo che il Tempo esercita sul corpo mostrando una potenza, un impatto così determinante che ci spinge a dire: «Così come il Corpo memorizza, […] il Tempo somatizza»15, somatizza sia nel senso generale che riproduce la natura del corpo, la corporeità come tale, sia nel senso specifico che tutto ciò che accade al corpo lascia su di esso le sue tracce, i suoi segni, nei quali rientrano anche le patologie, i disturbi, le crisi di vario tipo che viviamo. Dall’altro lato, invece, è il governo che da sempre cerchiamo d’avere sul Tempo, adoperandoci per comprendere la sua natura e curarci dei suoi effetti, ad esempio elaborando un metodo terapeutico per verificare i possibili collegamenti organici tra le memorie traumatiche di una persona e i disturbi psicosomatici di cui essa soffre e per sanare il nesso crono-biologico individuato.

 

Memorie somatiche del dolore

Servendosi proprio di un metodo di questo tipo Di Spazio ha potuto dimostrare la validità della sua interpretazione temporale dei punti di Hua Tuo (celebre medico cinese vissuto tra il II secolo e i primi anni del III secolo). Tali punti, noti anche come «cronozonidi», rappresenterebbero nel corpo umano, specificatamente nelle apofisi della colonna vertebrale, dei riferimenti a determinate informazioni biografiche del paziente e quindi anche agli anni di nascita (dal primo al novantesimo anno) a cui risalgono quelle informazioni. In breve: ogni punto di Hua Tuo è un segnatempo delle diverse età che una persona ha già compiuto o compirà.
Dai riscontri delle sue indagini Di Spazio può affermare che «è possibile “toccare” la dimensione temporale, sfiorando semplicemente le creste ossee dei processi spinosi del rachide. […] la digitopressione sul punto D3 “accende” le reti di memoria del 16° o del 45° anno di vita. Questa possibilità di intervento diventa molto importante se in quel determinato intervallo temporale si è consumata una esperienza stressante, che ha condizionato per esempio l’insorgenza di attacchi di panico o di una periartrite scapolo-omerale destra»16.
Il fatto che sia possibile individuare i disturbi organici di un paziente stimolando (con la digitopressione o con il martelletto neurologico) i punti Huatuojiaj fa pensare che nel periodo temporale associato ai punti percossi il paziente abbia vissuto qualche evento traumatico che ha provocato l’insorgenza di quei disturbi. In altre parole: una persona vive degli eventi particolarmente critici, quindi li fa suoi, li assimila, li memorizza, li registra e li riproduce psicosomaticamente come dati corporei di innumerevoli tipi; dati che possono diventare nocivi se non si è in grado di elaborare e superare in qualche modo il trauma di quegli avvenimenti. Lo stato emozionale che si è scatenato in un certo momento può infatti persistere a lungo, comportando vari scompensi, disturbi e patologie; la medicina olistica esamina e cura questi disturbi intervenendo (anche) sui punti Huatuojiaj citati prima, vale a dire, provando a rilevare e a comprendere la dimensione, l’origine, la natura temporale dei disturbi osservati. Essa vede nel sintomo una traccia, un’informazione e una memoria psicosomatica di un evento temporale, cioè un modo ulteriore in cui quell’evento si è manifestato, si è sviluppato e continua a essere presente.
In questo ambito medico sicuramente non convenzionale scopriamo come il corpo umano sia animato e percorso da innumerevoli dati mnestici e perché sia necessario risalire a questi dati ricorrendo all’analisi clinica e all’interpretazione teoretica di alcune zone dell’organismo. Saper leggere e trattare questi dati mnestici è infatti fondamentale perché significa poter intervenire curativamente sulle sofferenze che logorano la vita personale, sulle emozioni negative suscitate e acuite da certi eventi, sui mali psicofisici in cui si mutano e si archiviano i vissuti dolorosi. Non solo: in un contesto simile il sapere scientifico può munirsi di cognizioni, definizioni, metodologie più adeguate e utili alla comprensione dei suoi diversi oggetti di indagine e anche, più in generale, della realtà temporale del corpo umano. Ad esempio, alla luce dei risultati ottenuti dalla pratica delle tecniche di stimolazione dei punti paraspinali è possibile esaminare meglio e rivalutare la natura, l’estensione, gli effetti dei dati mnestici, e pertanto, estendere l’indagine alla dimensione temporale da cui provengono questi dati. Certe risposte anomale dell’organismo, infatti, sarebbero causate (anche) da forme somatiche di memorie immagazzinate nel rachide, e tali forme avrebbero acquisito la loro particolare struttura/funzione attraverso il processo filogenetico e ontogenetico dell’evoluzione temporale del corpo umano. Come spiega Di Spazio con un linguaggio più tecnico: «Le verifiche sperimentali inducono a credere che l’onda vibratoria prodotta dalla percussione del martelletto sull’emergenza ossea dell’apofisi spinosa, si trasferisca attraverso il liquido cerebro-spinale alla corrispondente porzione spinomidollare, attivando in questo modo particolari circuiti neurali, generanti a loro volta la risposta neurovegetativa a distanza. Ma la possibile esistenza di questi particolari circuiti neurali a livello spinomidollare allungherebbe la lista delle aree dedicate ai processi di memoria, che non sarebbero più confinate all’interno della scatola cranica, ma estese a tutto il nevrasse»17. Ciò sarebbe del tutto coerente con la constatazione del fatto che «la lunghissima storia evolutiva dell’apparato spinomidollare, denominato “cervello rettile” da MacLean e valutabile in almeno 250 milioni di anni, consentirebbe una più stabile e fidata conservazione di dati mnestici (in particolare quelli a matrice stressante per le loro possibili ripercussioni sulla conservazione dell’individuo e della specie), rispetto alle molto più recenti strutture corticali»18. Queste considerazioni fondamentali per la ricerca scientifica suggeriscono come l’esame, la conoscenza, la cura delle espressioni sofferenti del corpo siano illuminati dalla scoperta dei processi di memoria; scoperta che a sua volta dipende dalla comprensione della nostra storia evolutiva e temporale.
Un altro risultato significativo riguarda le cicatrici cutanee. Per la medicina non convenzionale le cicatrici segnano sul corpo delle zone di interferenza particolari (nel senso che hanno caratteristiche esclusive per ogni individuo). È stato infatti possibile verificare come la presenza delle cicatrici cutanee influisca negativamente nell’espressione sintomatica e patologica con la quale un corpo risponde alle tecniche di stimolazione della Spinal Age-Mapping: la mappa spinale comune agli esseri umani nella quale sono stati fissati i punti di Hua Tuo. Ma si è constato anche come un intervento clinico specifico sulle cicatrici riesca a influire positivamente sulle stesse aree di dolore che vengono attivate e curate mediante la stimolazione dei punti Huatuojiaji, cioè dei riflessi neurovegetativi propri di un corpo sottoposto a tale stimolazione. Questo significa che è possibile colpire da più postazioni, quindi con maggiore possibilità di successo, uno stesso bersaglio come per l’appunto una zona insana dell’organismo, presa in esame dall’analisi e dalla pratica terapeutica della medicina olistica anche come zona di registrazione, ripetizione e conservazione di un evento temporale che ha potuto provocarla.
In conclusione: un vissuto traumatico lascia innumerevoli tracce nell’organismo, particolari memorie che si incorporano; la scienza medica può e deve intervenire su di esse, ad esempio trattando nel modo corretto delle ferite come le cicatrici cutanee, oppure dei marcatori temporali come i punti Huatuojiaji, la cui stimolazione può provocare i riflessi sintomatici del corpo e consente perciò di osservare e curare tali risposte. Ma qui non si tratta soltanto di guarire da un disturbo o una malattia temporanei; più in generale, infatti, riconoscere, esaminare, trattare determinati dati mnestici significa rievocare un passato doloroso e provare a rompere il suo incantesimo sul presente, cercare di inibire gli effetti di una crisi che si ripercuote continuamente su tutto ciò che siamo e che facciamo, sanare una vita personale e quotidiana che duole nella sua interezza.

 

Note

1 V. Di Spazio, Disobbedire alla mente errante. Defusione cognitiva e mediazione sensoriale, Edizioni Spazio Interiore, Roma 2021, p. 16.
2 A.G. Biuso, Temporalità e Differenza, Olschki, Firenze 2013, p. 6.
3 V. Di Spazio, Disobbedire alla mente errante, cit., pp. 17-18.
4 Ivi, p. 28.
5 Cfr. Okbay, A., Baselmans, B., De Neve, JE. et al. Genetic variants associated with subjective well-being, depressive symptoms, and neuroticism identified through genome-wide analyses. Nat Genet 48, 624–633 (2016). https://doi.org/10.1038/ng.3552.
6 V. Di Spazio, Disobbedire alla mente errante. Defusione cognitiva e mediazione sensoriale, cit., p. 34.
7 Ivi, pp. 46-47.
8 Ivi, p. 39.
9 Ivi, p. 51.
10 Ivi, p. 30.
11 Ivi, pp. 59-60.
12 Ivi, p. 58.
13 Ivi, p. 34.
14 Id., Cicatrici cutanee e temporalità (2005), https://www.agopuntura.org/webhtml/html/mandorla/rivista/numeri/Dicembre_2005/CICATRICI%20CUTANEE%20E%20TEMPORALITA.htm (consultato il 15.11.2021)
15 Id., Cronobiocibernetica (2004), https://www.agopuntura.org/webhtml/html/mandorla/rivista/numeri/Dicembre_2004/cronobiocibernetica.htm (consultato il 15.11.2021)
16 Id., Cicatrici cutanee e temporalità, cit.,
17 Id., Cronobiocibernetica, cit.
18 Ibidem.

 

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