Platone, la filosofia

Di: Alberto Giovanni Biuso
9 Aprile 2017

Platone è la tenacia della mente che mai si ferma nel domandare fino a che non pervenga alla chiarezza del concetto, all’apprensione più completa possibile degli enti, degli eventi e dei processi. Anche per questo Emerson riteneva che Platone fosse la filosofia e Whitehead aggiungeva che la storia del pensiero può essere considerata un lungo commento al filosofo greco. Qual è il senso di queste iperboli? Platone è un dispositivo di conoscenza, un’autentica macchina concettuale che a ogni parola genera visioni, domande, prospettive. Platone è l’indagine che racchiude il gaudio e l’inquietudine, la vita stessa nelle sue potenzialità liete e mortali. La sobrietà e l’ebbrezza con cui questo filosofo costruisce i suoi dialoghi in un costante contrappunto teoretico sono l’espressione di una profonda unità fra vita e sapere. Anche Platone, come ogni pensatore greco, ha dominato l’impulso conoscitivo a favore della vita. Le sue opere coniugano ricerca razionale e indagine misterica: «Chi non sente il continuo tripudio che pervade ogni battuta e ogni replica in un dialogo platonico, il tripudio sulla nuova invenzione del pensiero razionale, che cosa comprende di Platone, che cosa dell’antica filosofia?»[1].

Per Dodds la peculiarità di Platone consiste nell’aver operato sul tronco del razionalismo greco «un fecondo innesto delle idee magico-religiose che hanno remota origine nella civiltà sciamanistica settentrionale»; egli arriva ad affermare che i governanti della Repubblica sono «una specie nuova di sciamani razionalizzati»[2]. Il pensiero platonico sembra vivere di una duplice tendenza: da un lato la fiducia nella ragione umana propria del V secolo, dall’altro la disincantata e amara consapevolezza di che cosa sia l’uomo e di quanto poco egli valga. Platone, come Achille e Odisseo (dei quali discute nell’Ippia Minore), aveva molte anime e molti strati anche perché le fonti del platonismo sono assai diverse tra di loro: Eraclito, Pitagora (e dunque la tradizione orfica), Parmenide, Socrate.

La consapevolezza della instabilità e mutevolezza di tutte le cose -trasmessagli dall’eracliteo Cratilo- accompagnò sempre Platone. Dalla confluenza di tale convinzione con l’esigenza socratica di una verità perenne si generò la dottrina delle forme ideali, unione di essere e divenire. Da Pitagora Platone imparò la compresenza di unità e molteplicità nel numero, a cui si aggiunsero la componente esoterica e la necessità di una rigenerazione politica dell’umanità. Diversamente da Socrate, che rappresenta il buon cittadino rispettoso dell’autorità e obbediente alle leggi, Platone fu un sovvertitore della polis reale in vista della costruzione di una città diversa e migliore. Al centro del progetto platonico sta la potenza legislatrice che induce il filosofo a non accontentarsi di nessuna forma esistente di diritto e di stato. Una volta convintosi della giustezza e praticabilità del suo progetto politico, Platone disprezza le istituzioni esistenti e gli uomini che passivamente le subiscono o vi si adattano. Partito dalla malinconia prodotta dall’impossibilità eraclitea della conoscenza di un mondo che muta e si sfalda continuamente dinanzi ai nostri occhi, Platone la supera solo mediante la fiducia socratica in una forma costante di giustizia fra gli uomini, fondata sull’universalità del Bene.

 

 

Le parole, l’Eros

 

Sulle rive dell’Ilisso, sotto un platano frondoso, Socrate e Fedro affrontano alcune delle tematiche fondamentali della vita. Tra queste, la scrittura. Della quale Platone analizza tutti i limiti. Simile alle creature della pittura, lo scritto tace; se interrogato, risponde sempre allo stesso modo; arriva nelle mani di chiunque, anche di chi non può capire; ha bisogno, per difendersi, dell’aiuto del padre. L’effetto dello scrivere non sarà quindi la sapienza ma una sua parvenza ed essa invece produrrà dimenticanza in coloro che a essa soltanto si affidano. «Nessun discorso è mai stato scritto in verso o in prosa con molta serietà»…(Fedro, 277e)[3]. Né l’umano né la sua scrittura sembrano degni di molta considerazione. Ma il disprezzo scritto per la scrittura non può costituire anch’esso un gioco? Il platonismo è certamente un labirinto più intricato e una vertigine più profonda di quanto di solito non appaia. Uno dei suoi punti di partenza sembra comunque l’identificazione fra retorica e dialettica, fra tecnica del discorso e indagine sui paradigmi: «una vera arte del dire che non tocchi la verità…non c’è e non ci sarà mai» (Fedro, 260e). Ma la filosofia che cos’è? Essa è anzitutto un metodo: «indagare con la ragione e discorrere con miti» (Fedone, 61e). Entrambi, ragione e miti, convergono a dimostrare che non tutto muore nell’ente uomo ma c’è una dimensione che partecipa solo della vita ed è a essa che conviene porre attenzione. Il filosofo impara progressivamente a morire fino a non temere più, anzi a desiderare di finalmente ricongiungersi col divino di cui è parte. La filosofia è quindi esercizio della morte e forma della divinizzazione. Questo insegna Socrate il giorno stesso in cui viene eseguita la sua condanna. Egli è certo che l’essere si articola in due forme «una visibile e l’altra invisibile» (Fedone, 79a) e a esse corrispondono due livelli del comprendere, quello dei sensi che riducono l’essere alla sola fisicità e quello della mente che invece

 

restando in sé sola, svolge la sua ricerca, allora si eleva a ciò che è puro, eterno, immortale, immutabile, e, in quanto è ad esso congenere, rimane sempre con quello, ogni volta che le riesca essere in sé e per sé sola; e, allora, cessa di errare e in relazione a quelle cose rimane sempre nella medesima condizione, perché immutabili sono quelle cose alle quali si attacca. E questo stato della psyché si chiama intelligenza. (Fedone, 79d)

 

L’intelligenza volge la sua indagine verso le forme ideali, verso quei paradigmi senza tempo di cui ogni cosa che è partecipa poiché senza di esse le cose nemmeno esisterebbero. È la ricerca del necessario nel contingente, del modello nella copia, della psyché nel soma, dell’eterno nel tempo. E tuttavia lo statuto del corpo è in Platone molto più articolato di quanto si pensi. A testimoniare la ricchezza anche somatica del platonismo è uno dei dialoghi più perfetti, il Simposio. Amore è tendenza al perpetuo possesso del bene e della bellezza, i quali soltanto liberano l’umano dal dolore. Amore è ricerca dell’immortalità nei due diversi gradi della generazione fisica, che prosegue nei figli la vita dei genitori, e della generazione mentale di opere artistiche e politiche, che assicurano gloria e fama al di là della contingenza. L’iniziazione di Diotima conduce dalle cose belle alla Bellezza in sé, alla forma ideale oggettiva ed eterna della quale tutte le singole cose belle partecipano. «Ecco; l’uomo è giunto al termine: conosce il bello nella sua pura oggettività; quel bello che esiste nell’Essere» (Simposio, 211c). La straordinaria efficacia della scrittura, le definizioni dell’Eros e del Bello, la descrizione mossa e chiarissima dei costumi sessuali ellenici, sono alcuni degli elementi che concorrono a fare di questo dialogo uno dei nuclei generatori della visione classica del mondo.

 

Il progetto politico

La filosofia platonica è intrisa non soltanto di bellezza e di corporeità ma anche di politica. Questa è una delle ragioni per le quali essa sta a fondamento del pensare e del vivere d’Europa, il continente politico per eccellenza. Quando Aristotele afferma che l’essere umano è un animale che esiste nella polis, si mostra anche in questo il miglior allievo di Platone. Nelle parole del Maestro, infatti, Atene indaga su se stessa. Centro e mito di ogni classicismo, la città viene dal filosofo letteralmente smascherata: «“il popolo del magnanimo Eretteo” [Iliade II, 457] ha un bell’aspetto, ma bisogna osservarlo quando si è tolto la maschera» (Alcibiade maggiore, 132a). Nel Gorgia Socrate è durissimo anche verso coloro che sono di solito ammirati come grandi reggitori della città -Pericle, Cimone, Milziade, Temistocle- ricordando come alla fine costoro siano stati tutti respinti da quegli uomini a cui avevano regalato potenza ma non donato giustizia. Non questi uomini arroganti, non coloro che si compiacciono di una sapienza che non possiedono e vivono immersi nel male dell’ignoranza, debbono governare. La sapienza al potere. La sapienza che è conoscenza della finitudine di ogni singolo e di ogni struttura. Il potere tirannico è tale perché si genera dalla dismisura, dalla hybris, dal non conoscere il limite in cui ciascuna cosa si inscrive. Il male radicale della tirannide consiste nel condurre al potere l’«uomo cattivo» al quale invece «conviene servire; per lui, infatti, è meglio» (Ivi, 135c).

 

Se alla guida di una nave viene posto un uomo privo di qualunque conoscenza dell’arte del pilota, sarà la fine di tutti i marinai, «ebbene, allo stesso modo, in una Città e in tutti i tipi di governo e di potere, privi di areté, si avranno come conseguenza delle disgrazie» (Ivi, 134e-135b). Qui parla già il Platone della Repubblica e della Settima Lettera, il Platone del grande progetto politico. Si conferma così il fatto che ogni grande filosofo pensa un pensiero soltanto e che il nucleo del platonismo è sempre essenzialmente politico. Al filosofo bisognerà, dunque, affidare il potere negli stati, a chi si è dedicato con impegno, metodo e passione alla ricerca sugli enti e sulle menti.

 

Non ci sarebbe tregua dei mali nelle Città, e forse neppure nel genere umano…se prima i filosofi non raggiungessero il potere negli Stati, oppure se quelli che oggi si arrogano il titolo di re e di sovrani non si mettessero a filosofare seriamente, sì da far coincidere nella medesima persona l’una funzione e l’altra -ossia il potere politico e la filosofia- e da mettere fuori gioco quei molti che ora perseguono l’una cosa senza l’altra. (Repubblica, 473d)

 

Senza paideia, senza una formazione adeguata e rigorosa, l’essere umano «si trasforma nel più feroce degli animali che la terra abbia mai generato» (Leggi, 766a). L’unica maniera per tentare di moderare tale ferocia è l’esercizio della mente, la potenza dell’intelligenza, il rifiuto delle gerarchie sociali e politiche a cui non corrisponda un primato intellettuale.

 

Le matematiche

È nell’Epinomide, un dialogo redatto da Filippo di Opunte a completamento delle Leggi (Epinomide vuol dire appunto “Appendice alle Leggi”) che si può trovare una sorta di sintesi dell’intero percorso platonico. La vita umana vi viene descritta come una tragedia faticosa e votata alla sconfitta, tanto che solo un folle potrebbe desiderare di «vivere un’altra volta» (Epinomide, 974a). E tuttavia esiste un modo per sottrarsi all’insensato scorrere delle cose e alla potenza del tempo. Questo modo è la filosofia, alla cui base sta la matematica -«disciplina più importante e la prima da affrontare» (Ivi, 978a)- e il cui modello è l’ordine perenne e magnifico dei cieli. Il numero, dunque, «è causa di tutti i beni ma di nessun male» (Ivi, 978a). La sua conoscenza conduce la mente a intuire l’accordo fra l’ordine interiore e quello della società e degli astri. Matematico e filosofo, «il vero astronomo non può non essere anche un grandissimo sapiente» (Ivi, 990a). Il potere deve andare al filosofo poiché solo a lui appare «il legame originario di tutte queste cose»: l’«Uno» generatore della vita, dell’armonia e dell’Essere come bene (Ivi, 992a).

Aristotele racconta che una volta Platone annunciò una lezione pubblica intitolata Sul Bene e agli ascoltatori stupiti capitò di ascoltare una straordinaria lezione di matematica dedicata ai cinque generi sommi: Essere, Identità, Differenza, Immobilità, Movimento. Ancora una volta, a fondamento di questi cinque generi sta il rapporto profondo che li lega, l’Uno. Tutto ciò che esiste è buono e le cose tutte sono legate in Unità. L’Essere coincide con il Bene mentre il Male è la semplice privazione e assenza del Bene. Se l’essere è uno e l’uno è il bene, l’essere è il bene: ecco l’equazione che sta a fondamento del platonismo.

La soluzione politica che Platone cercò in tutti i modi –e pagando di persona- di realizzare è una società retta da chi è capace di gustare la perfezione matematica del mondo, la danza degli astri «che è la più bella a vedersi» (Epinomide, 982e). Costui saprà governare in maniera disinteressata poiché proietterà sulla materia politica l’ordine, il rigore, la freddezza della materia celeste. Per il Maestro l’armonia geometrica del cosmo è inseparabile dall’ordine umano sia individuale sia collettivo.

In questo senso, il dialogo più “politico” è proprio quello in cui Platone delinea un’immagine del cosmo grandiosa e compiuta, una sorta di mito definitivo nel quale ogni elemento della natura trova piena giustificazione nel legame con ogni altro. Il metodo di indagine è descritto con chiarezza e si fonda sulla distinzione fra l’essere e il divenire. Il primo, «ciò che è sempre e non ha generazione», va indagato con la pura logica, strumento della ragione. Il secondo, «ciò che si genera perennemente e non è mai essere», è il mondo empirico percepibile tramite i sensi (Timeo, 27d–28a). L’uno è il mondo vero, l’altro è apparenza, ma ciò non implica un dualismo ontologico radicale. Ancora una volta, per Platone l’essere tutto intero e profondamente unitario è sempre forma ed espressione del Bene: «l’universo è la più bella delle cose che sono state generate, e l’Artefice è la migliore delle cause» (Ivi, 29a). La positività delle cose è data dalla vita che tutte le permea, anche quelle apparentemente più passive -«questo mondo è un essere vivente, dotato di psyché e di intelligenza» (Ivi, 30b)- e dalla loro costituzione secondo ordine e misura. Ecco perché Platone lega la filosofia all’astronomia, modello supremo –nel mondo fisico- di un ordine ciclico ed eterno.

Nel Timeo Platone rintraccia ed esprime –nonostante e al di là di ogni disinganno politico- l’unità inscindibile fra la Mente e il Cosmo, tra l’ordine interiore e la perfezione dei Cieli: il filosofo è colui che comprende la necessità, superando, con immane fatica, la propria personale tragedia di uomo. La preghiera a Pan, con cui il Fedro si chiudeva, esprime bene la tonalità dell’intero platonismo: «O caro Pan, e voi altri dèi che siete in questo luogo, concedetemi di diventare bello di dentro e che tutte le cose che ho di fuori siano in accordo con quelle che ho dentro» (Fedro 279b).

Nei dialoghi di Platone, in questa tripudiante certezza di avere ormai raggiunto un livello altissimo del pensare e dell’essere, sta la fonte costante dell’indagine. Non importa condividerne o meno tesi, metodi, obiettivi. Il fatto è che noi continuiamo a pensare con le strutture concettuali che quest’uomo ha forgiato. Anche per questo Platone è la filosofia. E «la filosofia è la musica più grande» (φιλοσοφία οὐσης μεγίστης μουσικής; Fedone, 61a).


[1] F.W. Nietzsche, Aurora, in «Opere», Edizione critica diretta da G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1964 sgg., vol. V, tomo 1, af. 544, p. 255.

[2] E.R. Dodds, I Greci e l’Irrazionale, trad. di V. Vacca De Bosis, La Nuova Italia, Firenze 1978,  pp. 246 e 248.

[3] Le opere platoniche sono citate nella edizione curata da G. Reale, Tutti gli scritti, Rusconi, Milano 1991.

 

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