De Chirico e i volti della metafisica

Di: Silvia Ciappina
27 Luglio 2019

 

Giorgio de Chirico torna a Genova dopo venticinque anni dalla mostra del 1993 che segnava la rinascita della città con il restauro di Palazzo Ducale. Altrettanto simbolicamente il Pictor Optimus compie, a quarant’anni dalla morte e nel centenario del suo discusso e apparente volte-face nei confronti del periodo metafisico, l’ennesima tappa  di un viaggio senza fine.
La scelta di un percorso tematico, piuttosto che cronologico, attraverso stanze metafisiche in cui passato presente e futuro sono trama dell’eterno, segna la cifra esistenziale ed estetica che la mostra intende percorrere con  passaggi apparentemente enigmatici. Il viaggio e il ritorno sono termini entro cui si dispiegano Esterni e Interni, Protagonisti e Ritratti, secondo una interpretazione metafisica della natura e della storia e nel segno di una continuità d’opera che i primi contemporanei di de Chirico forse non hanno saputo cogliere.
La mostra, aperta sino al 7 settembre 2019 e curata dalla storica dell’arte Victoria Noel-Johnson, presenta opere provenienti da varie collezioni (Fondazione Giorgio ed Isa de Chirico, Galleria Nazionale di Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Firenze, Mart di Rovereto e collezioni private); vediamo ora di seguirne il percorso e di tracciare un esemplare e sintetico excursus di questo singolare viaggio metafisico.
È proprio le voyage sans fin il filo nascosto della mostra, dall’Ulisse del 1922 al Ritorno di Ulisse del 1968, dalla prima all’ultima stanza: ecco all’ingresso un Ulisse dall’iconografia classica, figurativo, che con la mano protesa verso l’orizzonte allude a un viaggio da intraprendere o forse appena concluso. L’eterno ritorno, il pensiero più abissale di Nietzsche, suggerisce e disvela all’artista metafisico un profondo segreto che Zarathustra accoglierà e tenderà in autotrascendenza, in ebbrezza dionisiaca. Dal divenireeracliteo, infatti, l’artista coglie l’essere, dal χρόνος, che divora se stesso e gli enti, l’uomo metafisico cattura l’αἰών, dall’oscurità -che sembra precedere ogni inizio e precipitare ogni fine- egli può scorgere il numen dell’eterno1.
Inizio e fine sono punti di un medesimo circolo, senza discontinuità, tanto che la periodizzazione della pittura di de Chirico da questo riceve una diversa prospettiva in una «strana rassomiglianza»che ha del perturbante ovvero di unheimlich in senso freudiano; non si tratterebbe più di distinguere la prima pittura metafisica del 1910-1918 dalle copie dei maestri antichi o del passato del 1919-1924, le opere neobarocche (eseguite dal 1938 ai primi anni Sessanta) dalla pittura neometafisica del 1968-19782. Questa rassomiglianza straniante genera singolari accostamenti tra gli enti all’interno di un dipinto e tra più opere appartenenti a periodi differenti: è il senso dello spaesamento, ma anche del disvelamento che vuole cogliere il demone, il divino, l’occhio interiore insito in ogni cosa (εποπτεία, l’epopteia dionisiaca che spesso de Chirico rappresenta simbolicamente come geroglifico sulla fronte dei suoi manichini).
L’Ulisse del preambolo esorta a passare alla prossima stanza, quella degli Esterni metafisici; i dipinti qui esposti non appartengono al primo periodo, tuttavia riecheggiano motivi e stilemi ricorrenti come archetipi: è possibile contemplare una piazza d’Italia, Souvenir d’Italie del 1924-1925, passando attraverso Le muse inquietanti (fine anni Cinquanta) sino all’Offerta al sole del 1968 e a rivisitazioni più tarde risalenti agli anni Settanta. Forse l’Offerta al sole genera il desiderio di ritrovare un’analogia, un correlativo rispetto all’apollineo e al dionisiaco, infatti quanto di essi è possibile scorgere nella pittura di de Chirico? A dispetto delle letture di Nietzsche da parte dell’artista non possiamo fare a meno di sottolineare nella sua pittura una prevalenza dell’apollineo nella preferenza per le geometrie, per i contorni, per la prospettiva seppure nelle linee di rottura e di infrazione; tuttavia nell’Offerta al sole3 si riesce finalmente a scorgere la dualità sole-luna nel cromatismo di rosso, giallo e   nero, ripreso dai fili bicolori di Arianna4 che legano gli astri ai correlativi terrestri.
Altro tema ricorrente lungo il cerchio del tempo, che abbraccia senza discontinuità passato, presente e futuro, è quello del figliuol prodigo, parabola di erranza e di redenzione, che de Chirico ha raffigurato in tutto l’arco della sua carriera, dal 1919 al 1975; nella mostra è presente proprio una delle ultime versioni, quella del 1975. In questa tela il padre appare come una statua in pietra vivente, così come gli edifici in prospettiva che incorniciano la scena e che simboleggiano la tradizione, egli è colto nell’atto di abbracciare e accogliere il figlio, ritratto come uno dei caratteristici manichini animati simboli di modernità5.
Ai critici contemporanei, come Roberto Longhi, tali accostamenti dovevano generare un effetto straniante e irritante, eppure voluto dallo stesso pittore e, tuttavia, non allo stesso modo dei surrealisti, quindi secondo la cifra del sogno e dell’irrazionalità. Il senso dell’accostare enti apparentemente estranei quali statue ed edifici classici, manichini, attrezzi per il disegno, giochi e dolci è nel segno del disvelamento metafisico, nel tentativo di dipanare la trama del sogno e di conferire visione e prospettiva alla presenza degli enti nel tempo. La modernità non deve pretendere di essere originale, piuttosto è originaria, infatti non può fare a meno di cogliere e riprendere il passato e le forme della classicità, rimanendovi prospetticamente fedele.
Originarietà e depaysement colpiscono il visitatore anche nelle stanze successive, gli Interni metafisici, con temi già affrontati nel periodo ferrarese dell’artista, durante il primo conflitto mondiale, e ripresi nel periodo neometafisico. In Interno metafisico con officina Interno metafisico con paesaggio romantico6 de Chirico colloca dipinti raffiguranti esterni all’interno delle tele e induce l’osservatore a dubitare delle proprie percezioni; in entrambe le opere si crede di veder rappresentata una finestra aperta, mentre la vera finestra che inquadra lateralmente un paesaggio urbano sembra un dipinto, secondo una suggestione concettuale simile alle litografie di Escher.

G. De Chirico,"Archeologi", 1968, olio su tela

Il tema del sole riappare anche negli Interni, esplorato alla luce dell’indistinguibilità tra esterno e interno; con Il sole sul cavalletto (1973) sono raffigurati due soli e due lune collegati da cavi lungo i quali la corrente di energia è intermittente cosicché uno dei corpi celesti appare illuminato mentre l’altro è spento, il tutto all’interno di una scenografia7che rende l’accostamento ancora più enigmatico e spiazzante. Se in questi interni con finestre e ritratti è possibile individuare riferimenti alla classicità con teste di Esculapio e di Mercurio in un continuum spazio-temporale, i rimandi alla medesima appaiono ancora più misteriosi ed emergenti nei titoli dei dipinti della parte successiva del percorso (Protagonisti metafisici).
Ettore e Andromaca, Oreste e Pilade, il trovatore, le maschere, quali figure solitarie o in coppia, appaiono con teste ellissoidali, prive di lineamenti ma con un simbolo centrale che allude alla visione interiore, contemplativa; una versione in interno del Figliuol prodigo, risalente al 1974, coglie tiepidamente l’abbraccio tra un manichino-padre, seduto in poltrona in abiti borghesi, e un figlio-statua di marmo con dettagli che intersecano passato e presente. Canzone meridionale eGli archeologhi8 sono tele degli anni Trenta, qui i manichini delle origini si evolvono in sembianze più umane, quasi ad accennare una remota distinzione maschile – femminile nelle vesti e nella corporatura; seduti vicini o abbracciati come per darsi conforto lungo il viaggio, trasmettono più emozioni rispetto agli omologhi solitari e distaccati degli anni Dieci, presentano forme sproporzionate e il loro ventre è riempito di frammenti di paesaggio, di statue classiche, di colonne e libri, segno dei passaggi della storia e della civiltà.
La riproposizione di temi già affrontati nel primo periodo spiega perché de Chirico non si sia mai realmente distaccato dalla visione metafisica, piuttosto la fedeltà ribadita nei confronti del classicismo e delle tecniche pittoriche dei maestri del passato gli consente di esplorare nuovi orizzonti rimanendo fedele a se stesso e alla propria unicità creativa. Non dobbiamo dimenticare le sue incursioni nella letteratura con due romanzi che trattano del viaggio dei suoi protagonisti, Hebdomeros (1929) e Signor Dudron (1945), così come più significativo nel testimoniare il suo «ritorno al mestiere», è nella teoria e nella prassi Il piccolo trattato di tecnica pittorica. Pubblicato nel 1928, è il primo libro di Giorgio de Chirico e insieme l’apice della sua riflessione sulla questione della tecnica, iniziata sulla rivista «Valori Plastici»con il saggio Il ritorno al mestiere del 1919. Il testo di de Chirico è una delle principali fonti per la storia delle tecniche artistiche nel Novecento, concepito come un ricettario in cui l’autore illustra con tono colloquiale i procedimenti esecutivi e i materiali che ha usato testimoniando il confronto incessante con la tradizione.
È proprio nel confronto con la tradizione che possiamo percorrere le ultime stanze dedicate alla Natura metafisica e ai ritratti. De Chirico si era già confrontato col genere della natura morta9 a partire dagli anni Dieci con I pesci sacri, esposto ora nella mostra genovese in una versione degli anni Trenta; qui si coglie ancora il genio dell’artista che vuole indurre l’osservatore al consueto effetto di depaysement: le due aringhe affumicate sembrano appese a una cornice oppure poggiare su un basamento secondo una tecnica già vista negli Interni. L’artista spiega nel saggio del 1919 Sull’arte metafisica10 che ogni cosa ha due aspetti, uno corrente che gli uomini innocenti vedono in generale, l’altro spettrale e metafisico che possono vedere solo rari individui in momenti di chiaroveggenza e astrazione;a questo aspetto se ne aggiungerebbero altri, tutti differenti dal primo ma in stretta relazione con il secondo. Sarebbe solo la catena dei ricordi ad indurci a collocare le percezioni secondo un ordine spaziale e logico rassicurante, se per ipotesi questo filo si spezzasse gli interni di una stanza ci apparirebbero decisamente meno rassicuranti e chissà con quali sentimenti di stupore e terrore accoglieremmo questa visione.
Al proposito mi viene in mente un racconto di Borges dal titolo There are more things, contenuto nel Libro di sabbia; qui un visitatore si trova a confronto con gli interni di una casa che aveva imparato a conoscere in precedenza, ora abitata da un oscuro personaggio che vi aveva apportato incomprensibili e oscure modifiche. Il protagonista, morbosamente curioso di verificare l’accaduto, si introduce nella dimora e accende le luci: nessuna delle forme insensate da lui percepite in quella luce corrisponde a una forma umana o a un uso concepibile; atterrito, egli arriva alla conclusione che se vedessimo realmente l’universo lo capiremmo.
Triangoli, squadre, archi, portici, torri sono i segni di questo nuovo alfabeto metafisico, il perturbante è rappresentato dal loro inserimento analogico nello spazio, probabilmente con richiami esoterici e simbolici a un inconscio più archetipico che personale. Ad animare queste visioni della natura sono suggestioni neobarocche che de Chirico esplora tra la fine degli anni Trenta e i Sessanta, influenzato dai paesaggi di Rubens e dai cavalli di Delacroix.
Preziose sono le testimonianze offerte dalle tele degli anni Trenta: il tema classico e platonico della coppia di cavalli, uno bianco l’altro nero, è presente sia in un dipinto ad olio su tela del 1929 (Le cheval d’Agamnenon) sia in Cavalli in riva al mare (olio su tela, 1935 circa). Pur riconoscendone l’importanza, De Chirico non amava Platone, «generalissimo del pompierismo filosofico»11. Come Nietzsche de Chirico prediligeva Eraclito, che invocava il δαίμων; è inevitabile, tuttavia, ravvisare segrete corrispondenze tra la sua pittura metafisica, volta a rivelare l’essenza non manifestamente visibile degli oggetti, e il mito platonico della caverna, così come nel privilegiare la parousìa,la presenza dell’Idea nelle cose.

G. De Chirico, Offerta al sole, olio su tela, 1968

È sempre attraverso Nietzsche che Giorgio de Chirico avverte la realtà quale sistema di segni: «accostandosi al mondo in una prospettiva psicologica e non logica, il filosofo svelò all’artista l’esistenza di un linguaggio nascosto del mondo, che offriva la possibilità di nuove costruzioni»12. Il tema dei cavalli e delle figure mitologiche, che ricordano il legame mai reciso con la Grecia e la Tessaglia dell’infanzia, torna in opere degli anni Sessanta, accentuato dalle sperimentazioni neobarocche dell’artista e con un più vigoroso tratto del pennello sulla tela sia ad olio sia nella tecnica dell’acquerello (Il carro del sole, 1970, cat. 58).
Nella sezione della mostra dal titolo La metafisica incontra la tradizione, possiamo ammirare l’esplorazione attraverso copie (originali o in dettaglio, da Raffaello e da Perugino) della ritrattistica dei secoli d’oro svolta già a partire dagli anni Venti da parte del Pictor Optimus sia per padroneggiare i segreti dell’arte pittorica del XV e del XVI secolo sia per reagire alle difficili condizioni del mercato dell’arte in seguito alla crisi del 1929. A partire da questa data egli iniziò a dipingere una serie di nudi femminili dalle tonalità pastello à la Renoir13 figure di bagnanti solitarie, di divinità addormentate nel bosco o distese di schiena che presentano familiarità nella ripresa della posa anche con il neoclassicismo de La grande odalisca di Ingres.
Richiami e suggestioni a parte, de Chirico sembra sempre seguire un filo nascosto, quello lasciato e mai reciso da un’Arianna abbandonata nel sonno, figura centrale nelle piazze rappresentate dall’artista dagli anni Dieci sino alla fine; ecco il riflesso dell’Arianna di Nietzsche in Ecce homo e nei Ditirambi di Dioniso, ma possiamo estendere la ricostruzione iconografica di questo mito all’orizzonte culturale e figurativo dell’ambiente greco di fine Ottocento e di primo Novecento in cui ebbe luogo la formazione del giovane artista, il quale affrontò i primi studi accademici proprio ad Atene, in una capitale di sovrani mitteleuropei, e poi a Monaco di Baviera.
L’Arianna dormiente viene colta in una sospensione temporale tra un tempo di nostalgia-passato e di attesa-futuro, nel quale le passioni dell’anima appaiono quietate dalla consapevolezza angosciosa dell’abbandono e dal presentimento vago di un futuro indefinito che solo la rappresentazione figurativa riesce a domare. Finché Arianna ama Teseo, finché ne è la madre, sorella o sposa ovvero lo specchio femminile dell’uomo, ella non ha modo di esprimersi se non accettando passivamente l’abbandono o reagendo con la potenza vendicatrice di unna Medea, mentre reazione e risentimento continuano ad animare le sue passioni tristi. Solo dopo l’abbandono di Teseo, Arianna può raccogliere in sé la potenza femminile sopita, dire dionisiacamente sì alla vita e al divenire, in modo benefico e affermativo: «il raggio di una stella splenda nel vostro amore! La vostra speranza dica: “Possa io partorire L’Oltreuomo”»14. De Chirico sembra cogliere con queste figure femminili proprio il momento della sospensione temporale prima della successiva trasfigurazione del femminile nel Sì.
Concludono la serie dei ritratti due tele del 1947-1948, Autoritratto in costume del Seicento Autoritratto con corazza, dove al gusto scenografico e neobarocco per i costumi teatrali che il Maestro noleggiava dall’Opera di Roma egli unisce la sovrapposizione della propria testa su quella del modello (Filippo IV) già raffigurato nell’opera di un grande maestro del Seicento come Velázquez, attraverso l’eterno ritorno del passato nel presente.
In appendice alla mostra troviamo, infine, un percorso didattico dedicato ai più piccoli allestito dagli organizzatori di ViDi, rare testimonianze scritte e fotografiche (originali e in video) del Maestro, più una serie di disegni che egli aveva destinato alla farsa di Bontempelli (Siepe a Nord Ovest,1919-1923) e a Mythologie di Jean Cocteau (1934).

 

Note

1 A.G. Biuso, G. Randazzo, Paganesimi, «Vita pensata», n. 18, febbraio 2019, disponibile all’indirizzo web: https://www.vitapensata.eu/2019/02/04/paganesimi (ultima visita 10 luglio 2019).
2 Cfr. V. Noel-Johnson, «Le voyage sans fin. Giorgio de Chirico e l’arte metafisica (1910-1978)»in Giorgio de Chirico. Il volto della metafisica, catalogo della mostra (Genova, Palazzo Ducale, 30 marzo-7 settembre 2019) a cura di V. Noel-Johnson, Skyra, Milano 2019, p. 8.
3 Ibidem, cat. 15.
4 Sulla coppia divina Dioniso-Arianna degli ultimi scritti di Nietzsche, cfr. anche G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Einaudi, Torino 2002, pp. 277-282.
5 Cfr. Giorgio de Chirico. Il volto della metafisica, cit., cat. 11.
6 Ibidem, cat.20, 21. Da notare la firma su Interno metafisico con officina che attesta il 1948 come anno di composizione, mentre la tela è del 1969.
7 Da esplorare l’attività di de Chirico come scenografo negli anni 1924-1971, in merito si può leggere il contributo di M. Ursino del 2016, disponibile all’indirizzo web: http://news-art.it/news/de-chirico-scenografo–un-nuovo-contributo-su.htm (ultima visita 10 luglio 2019).
8 Cfr. Giorgio de Chirico. Il volto della metafisica, cit., cat. 33 e 34.
9 Ivi, p.141. In un articolo dal titolo Le nature morte del 1942, de Chirico dichiarerà che nella lingua inglese e tedesca il nome assume un significato molto più bello ed evocativo: Still leben Still life ovvero vita silenziosa.
10 Ivi, pp. 210-211.
11 G. de Chirico, Il meccanismo del pensiero, a cura di M. Fagiolo Dell’Arco, Einaudi, Torino 1985, pp. 66-71; ora in G. de Chirico, Scritti/1 (1911-1945). Romanzi e Scritti critici e teorici, a cura di A. Cortellessa, ed. diretta da A. Bonito Oliva, Bompiani, Milano 2008, pp. 270-276. Disponibile all’indirizzo web: http://www.fondazionedechirico.org/scritti/consultazioni/saggi/noi-metafisici/ (ultima visita 10 luglio 2019).
12 Intervista ad A. Baccilieri, De Chirico esoterico – Attraverso Nietzsche e il disegno alla ricerca del lato nascosto del mondo, in Stile arte, 26 marzo 2018, disponibile all’indirizzo web: https://www.stilearte.it/de-chirico-esoterico-attraverso-nietzsche-e-il-disegno-alla-ricerca-del-lato-nascosto-del-mondo/ (ultima visita 10 luglio 2019).
13 Cfr. S. Bartolena, «Affinità elettive: Giorgio de Chirico e Pierre-Auguste Renoir»inGiorgio de Chirico. Il volto della metafisica, cit., pp. 53-61.
14 F. Nietzsche, Also sprach Zarathustra, herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, de Gruyter Verlag, 1999, p. 85: «Der Strahl eines Sternes glänze in eurer Liebe! Eure Hoffnung heisse: „möge ich den Übermenschen gebären!“» (la traduzione in italiano è mia). Cfr. anche G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, cit., p. 279.

 

Giorgio de Chirico. Il volto della metafisica
Genova – Appartamento del Doge di Palazzo Ducale
Sino al 1 settembre 2019

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