Eraclito / Heidegger

Di: Alberto Giovanni Biuso
31 Gennaio 2020

 

Che cos’è filosofia? Che cosa significa filosofare? Tutti i libri di Martin Heidegger sembrano e sono anche un tentativo ripetuto e ritornante di rispondere a queste domande. Potrebbero dunque portare tutti il titolo di uno dei suoi corsi (quello del 1951-1952) Was heißt Denken? Nei corsi su Eraclito del 1943 e 1944 una delle risposte è che filosofia è pensare ciò che va pensato, ciò che è da pensare, das Zu-denkende (p. 7).
Pensatori essenziali sono i tre che per primi hanno svolto questo compito: Anassimandro, Parmenide ed Eraclito. A quest’ultimo Heidegger dedica un impegno ancora una volta ripetuto e ritornante, traducendo i suoi detti in modo fedele e dunque non letterale e sempre sulla scorta, quasi in filigrana, del filosofo «che è distante dal pensiero dell’inizio, ma nel cui pensiero giunge a compimento il pensiero stesso dei Greci. Ci atteniamo a quanto afferma Aristotele» (40). Non solo: Heidegger cerca anche di ricostruire il testo di Eraclito. Procede a questo scopo con strumenti non filologici – come poi ha fatto Serge Mouraviev1 – ma in modo teoretico. L’esigenza, tuttavia, è la stessa: «Solo facendo costante riferimento alla sua struttura unitaria si potrebbe vedere quale è il luogo di appartenenza dei singoli frammenti; solo con un’operazione di questo tipo i frammenti sparsi e privi di contesto potrebbero essere ordinati in un contesto loro proprio e in grado di sostenerli» (28). Non dunque una raccolta di frammenti bensì un insieme di detti che fanno splendere il pensare dell’Oscuro, che è tale «perché egli pensa l’essere come ciò che si nasconde e deve dire la parola in modo conforme a questo pensiero. La parola del pensiero iniziale custodisce ‘ciò che è oscuro’» (26).
Di Eraclito l’ermeneutica heideggeriana fa emergere non ciò che è già presente –das Gegenwärtige– ma quel che alla presenza perviene –das Anwesende- lungo un percorso ampio, anche accidentato e intricato ma che giunge poi ai nuclei teoretici non di Eraclito soltanto bensì dell’intera filosofia. Molto al di là dell’elemento biografico e aneddotico, del tutto inessenziale; al di là della psicologia, della quale i Greci nulla sapevano; al di là della metafisica e dei suoi dualismi – primi tra tutti quelli di mente e mondo, soggetto e oggetto –; al di là della sterile distinzione di teoria e prassi, la φύσις di Eraclito è pura ontologia ed è pura luce, poiché «l’essere ‘è’ il più prossimo di tutto ciò che ci è prossimo» (71) ed è nello stesso tempo il più enigmatico da cogliere, comprendere, dire.
Φύσις è infatti il «nome iniziale greco di quel che noi chiamiamo essere» (237), è l’originario sorgere degli enti – terra, cielo, animali, umani, dèi – i quali possono essere pensati, compresi e detti soltanto perché si schiudono, si mostrano e appaiono, emergono nella luce. Viventi o meno che siano, gli enti costituiscono lo schiudersi della materia nello spazio e nel tempo, il suo manifestarsi e splendere, la sua in termini heideggeriani Lichtung e in termini eraclitei luce -Φῶς / φάος- e φύσις-, il venire a manifestazione della ζωή, dell’energia che si raggruma in consapevolezza, vita, tempo. Non quindi la banale e equivocante parola natura ma l’inorganico, l’animalità, l’umano e gli dèi convergenti nel tempo che in modo diverso tutti sono.
«Φύσις significa la totalità dell’ente. L’ ἐπιστήμη φύσική è il sapere della totalità dell’ente, ma in modo diverso dalla fisica moderna» (141). Un modo che raccoglie il respiro e la luce. «La luce è luminosa, illuminante, dischiudente e come luminosità mantiene un’apertura. […] Se pensiamo l’aria come etere, allora ‘aria’ e ‘luce’ rientrano nello stesso ambito. Ma a ben vedere esse rientrano nello stesso ambito perché nella loro essenza nascosta sono in realtà un’unica cosa: sono un’unica e medesima cosa insieme a ‘vita’ e φύσις» (197). L’umano è parte di questo plesso e, come tutti gli enti che sono soltanto elemento, non genera da sé la luce dentro cui è immerso. Egli sta nella luce che lo precede, che lo intesse e che lo segue. Questa luce è il tempo. È dal divenire, infatti, che si coglie l’essere, è dal χρόνος che si apprende l’αἰών, è dall’oscurità – che sembra involgere ogni inizio e ogni fine – che si può scorgere il lucente.
Vedere la luce, scorgere il mostrarsi, benedire l’apparenza. Sono, questi, alcuni dei tratti che rendono i Greci da sempre fenomenologi. Pensare grecamente vuol dire infatti, cogliere l’essere come manifestarsi. Σῴζειν τα ϕαινόμενα «è un salvare ciò che si mostra» (258). E anche questo è metafisica. Non soltanto dualismi, antropologismi e oblio. Non soltanto la riconduzione dell’essere all’essere dell’ente.

Forse la metafisica e l’intera sua storia racchiudono in se stesse un destino singolare, per cui solo nel corso della metafisica e della sua storia viene messa in luce in generale la differenza tra essere ed ente, affinché un giorno questa differenza sia esperita ed interrogata in quanto tale; solo allora in questo interrogare l’essere stesso verrà incontro al pensiero nella sua verità degna d’essere interrogata, e trasformerà lo stesso pensiero (194).

Il pensiero di Martin Heidegger può allora essere inteso come tale riscatto e trasformazione della metafisica, trasformazione che è in realtà un ritorno alle sue scaturigini. Tra di esse, Eraclito. L’Oscuro è anche e sempre l’inquietante, colui per il quale εἶς ἐμοὶ μύριοι, ἐὰν ἄριστος ᾖι, uno è per me diecimila, se nel pensare è nobile (detto 49, qui a p. 255). Anche per questo «c’è nel mondo un timore terribile e difficilmente comprensibile a pensare la filosofia solo come filosofia e a seguire questo pensiero là dove è necessario e nella misura in cui è necessario» (151).
La filosofia che è apertura, scoperta, ancora una volta luce:

Ci faremmo una strana idea dei pensatori se credessimo che essi in ogni caso pensino senza commettere errori. Infatti essi sono pensatori essenziali proprio perché -nonostante i molti errori in cui ‘incappano’- essi pensano il vero [das Wahre]. Perciò anche la discussione critica tra i pensatori ha un carattere e un senso completamente diverso dalla critica e dalla polemica che sono invece consuete e necessarie nell’ambito delle scienze. La discussione tra i pensatori non intende stabilire criticamente se ciò che essi dicono sia giusto o sbagliato. La loro discussione è un colloquio reciproco, per vedere in che misura ciò che essi pensano sia pensato in modo iniziale e si avvicini all’inizio, oppure se ne allontani, in un modo che pur allontanandosi esso rimanga essenziale e sia sempre quell’unico [das Eine] e quel medesimo [das Selbe] che ogni pensatore pensa. L’‘originalità’ di un pensatore consiste nell’aver da pensare nella massima purezza il medesimo, e solo quel medesimo che anche i pensatori precedenti hanno ‘già’ pensato (32).

Superamenti, anticipazioni, filastrocche, elenchi e biografie vengono di colpo oltrepassati nella identità di ogni pensare con ciò che è da pensare, das Zu-denkende. La storia della filosofia è questo asintotico tornante della verità. A partire da «Anassimandro, Parmenide ed Eraclito» (7) e beyond the Infinite, si potrebbe dire con Kubrick, filosofo eracliteo.

 

Nota
1 La traduzione italiana della ricostruzione di Mouraviev si trova in Aa. Vv, Eraclito: la luce dell’oscuro, a cura di G. Fornari, Olschki, Firenze 2017. È, questo, uno dei libri di storia della filosofia più importanti che siano stati pubblicati negli ultimi anni.

 

Martin Heidegger
ERACLITO
L’inizio del pensiero occidentale
Logica. La dottrina eraclitea del Logos
(Heraklit; Corso di lezioni friburghese – Semestre estivo 1943 e 1944; Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main, 1979; Gesamtausgabe, Band 55)
A cura di Manfred S. Frings
Trad. di Franco Camera
Mursia, Milano 2017
Pagine 272

 

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