La storia della scienza nella scuola di Milano

Di: Dario Generali
21 Maggio 2020

 

Al termine della Seconda Guerra mondiale, dopo la tragedia del fascismo, di due eserciti di occupazione sul territorio nazionale, il riscatto della Resistenza e la conseguente conquista della libertà e della Repubblica il clima politico e culturale del Paese era in uno stato di notevole effervescenza e l’impegno degli intellettuali concentrato a promuovere un rinnovamento della cultura nazionale improntato ai nuovi valori della democrazia.

Una tale esigenza era naturalmente sentita dagli appartenenti alla Scuola di Milano e con quella maggiore intensità e motivazione che nasceva dalla scelta di molti di loro di dedicarsi integralmente alla ricerca e all’insegnamento e dal fatto che, con la sola eccezione di Enzo Paci, fossero tutti intellettuali antifascisti e molti di loro fossero stati anche partigiani. L’attenzione andò in primo luogo alla vita politica del paese e allo sforzo – certo non facile e non sempre coronato da successo – di liberarsi da pratiche, mentalità e norme fasciste ancora profondamente radicate nelle istituzioni e nei loro funzionari, ma non mancò certo l’impegno di promuovere il rinnovamento culturale anche al livello più alto degli studi filosofici e storiografici. È del resto largamente noto che una delle più vigorose reazioni all’idealismo crociano venne proprio dalla Scuola di Milano e, in particolare, dall’ambiente intellettuale che si concentrò attorno alla Rivista di storia della filosofia, fondata da Mario Dal Pra nel 1946, che sviluppò una storiografia filosofica legata all’empirismo critico di quella Scuola, alla sua attenzione filologica e testuale, alla sua battaglia antimetafisica, neoilluministica e di rigore intellettuale e civile.

L’interesse principale di quell’ambiente fu senza dubbio la storia della filosofia, che fu però sempre vista in relazione con le altre discipline e, in particolare, con la scienza e la sua storia. Dal Pra e Garin – che collaborò costantemente al progetto culturale ed editoriale della rivista – non furono direttamente storici della scienza, ma ebbero diversi allievi che lo divennero e mostrarono sempre una notevole sensibilità verso questa disciplina. Lo fu invece direttamente Giulio Preti, che di quel gruppo di studiosi rappresentò sicuramente una figura centrale e che dedicò molta attenzione sia alla riflessione sulla metodologia storiografica, sia all’impegno diretto di storico della filosofia e della scienza, come provano, per esempio, i suoi studi su Newton (Garzanti, Milano 1950) e sulla Storia del pensiero scientifico (Mondadori, Milano 1957).

Particolarmente rilevante a illustrare l’attenzione in quegli anni di Preti, anche sul terreno dell’insegnamento, per la storia della scienza appare il Corso propedeutico di storia del pensiero scientifico dal sec. XIV al sec. XVI, dispensa(preceduta da un’altra, che chi scrive non è però sinora riuscito a rinvenire, relativa a un corso di Storia della filosofia del Rinascimento) curata da Giuseppe Tarzia di un corso tenuto da Giulio Preti, in qualità di assistente volontario di Antonio Banfi, presso l’Università degli Studi di Milano nell’anno accademico 1949-1950.

In quegli anni collaborava con Banfi, ma come assistente strutturato, anche Paolo Rossi, che si trovò quindi a operare con Preti nello stesso contesto e nella stessa temperie culturale e che non è improbabile che abbia cooperato con il filosofo pavese nella didattica e interloquendo con lui nelle discussioni teoriche, ricevendone significative influenze metodologiche sul terreno storiografico e nella definizione di un modello di storia della scienza concepito come storia del pensiero scientifico, che fu poi la prospettiva che si impose per la disciplina nel nostro paese nei decenni successivi, pure attraverso l’opera e il magistero dello stesso Paolo Rossi, in questo senso indirizzato anche dall’insegnamento di Garin, di cui era allievo3.

La riflessione e l’attività di ricostruzione storiografica del pensiero scientifico avviate da Preti in quegli anni nel contesto della scuola di Milano, e che diedero i loro frutti più maturi, anche per la prematura scomparsa del filosofo pavese, grazie all’opera di Paolo Rossi, dei suoi allievi e di quelli di altri storici della filosofia, come Eugenio Garin e Mario Dal Pra, rappresentarono un momento fondamentale di svolta, riprendendo un settore che, dopo la fioritura del periodo positivista, con gli studi, fra gli altri, di Raffaello Caverni, Antonio Favaro, Gino Loria, Giovanni Vailati, Federigo Enriques, e Aldo Mieli4, subì una pesante battuta d’arresto e un abbandono nel periodo segnato dall’egemonia dell’idealismo crociano. La riflessione di Preti sulla storiografia della scienza e la sua stessa attività storiografica si inseriscono a pieno titolo nel movimento filosofico e intellettuale di rinnovamento anticrociano e anti idealistico avviato dalla riflessione di Banfi e della sua scuola e che vide nella già menzionata fondazione della Rivista critica di storia della filosofia, alla quale Preti collaborò in modo costante e qualificato, un significativo riferimento editoriale e un punto di svolta culturale e organizzativo.

I modelli storiografici di Preti sono inseriti nella prospettiva teorica della sua riflessione e risentono per molti aspetti del quadro concettuale dell’empirismo critico5. Con tali premesse si mantiene quindi lontano dalle forzature ideologiche e rigetta le filosofie della storia, fra le quali il materialismo dialettico, facendo propria una visione storiografica attenta alla complessità della riflessione e dei fatti scientifici.

Per un verso Preti sostenne la specificità e la non subordinazione del piano teorico, per l’altro non disconobbe le influenze esterne sul processo scientifico. Le strutture formali della conoscenza hanno dunque, per il filosofo pavese, una loro autonomia e le discipline uno sviluppo “interno”, anche se certo non manca un rapporto tra scienza, società e prassi6.

L’inserimento delle scienze nel più ampio contesto dell’agire umano non toglie tuttavia rigore e valore di verità al sapere scientifico, ma solo il suo possibile carattere di assolutezza metafisica7, con la conseguenza che la scienza deve sempre essere vista nella sua dimensione storica e, quindi, relativa, come anche aveva precedentemente sottolineato Giovanni Vailati nella prolusione al suo corso, tenuto come assistente di Volterra all’Università di Torino, nel 18968.

Il modello storiografico di Preti si qualifica comunque sempre come assai evoluto e scaltrito, evitando qualsiasi caduta unilaterale e non perdendo mai di vista la complessità del fatto scientifico. Nonostante, infatti, l’esigenza suggeritagli dalle filosofie pragmatiche, quali il marxismo, allora assai diffuso, e il pragmatismo, di contestualizzare sempre e in modo radicale la riflessione scientifica, non cadde mai in semplificazioni sociologiche. Per Preti si poneva infatti la necessità di una ricostruzione della scienza e della filosofia che tenesse conto dell’autonomia, dello spessore teoretico e delle specificità delle singole discipline, evitando di usare, per esempio, il modello del materialismo storico come un grimaldello universalmente valido. Per il filosofo pavese gli approcci solo sociologistici producevano una storiografia della peggior specie. Questo non significa, come si è visto, che la storia della scienza e della filosofia non debba essere contestualizzata nella cornice generale della storia umana e che non si debbano prendere in considerazione influenze esterne, per esempio di natura economica, ma che queste evidentemente non bastano a fornire uno sguardo storiograficamente corretto e completo delle discipline9.

Nei suoi studi di storia della scienza Preti si concentrò non tanto sulla storia della scienza in quanto tale, ma sulla storia del pensiero scientifico, che, a suo parere, coinvolgeva sia la storia della scienza sia quella della filosofia.

Nello sforzo di ricostruzione storica è necessario per Preti individuare gli itinerari delle idee-forza fondamentali del pensiero scientifico, facendole reagire con gli autori e le condizioni storiche determinate10. D’altro canto, nel definire la riflessione e l’opera di un autore è fondamentale riuscire a individuare la tradizione scientifica e filosofica a cui fa riferimento, le sue fonti e le sue influenze successive, l’originalità del suo apporto nel chiarire ed, eventualmente, nel trasformare la tradizione a cui appartiene.

Nella prospettiva di contestualizzare gli autori nelle tradizioni di pensiero si parla di individuare anche le affinità a distanza e i precorrimenti, che sappiamo essere un modello oggi rigettato dalla storiografia. Preti ammonisce però giustamente, rendendosi così perfettamente conto dei limiti di questa categoria storiografica, del pericolo di usare il concetto di “precorrimento”, perché spesso i contesti sono molto differenti e i singoli enunciati, sebbene apparentemente simili, hanno significati diversi11.

Una questione significativa che viene presa in considerazione è quella legata alla continuità o alla discontinuità dello sviluppo storico e, con esso, degli autori, delle influenze e dei problemi. Preti non aderisce, anche in questo caso, a prospettive unilaterali. Affermare infatti la sola continuità significherebbe negare la possibilità di sviluppi originali nel tempo. Asserire la sola discontinuità comporterebbe, per converso, avere teorie che nascono dal nulla. La posizione corretta appare dunque, per il filosofo pavese, quella di valutare caso per caso, riconoscendo di volta in volta gli elementi di continuità e di discontinuità del pensiero scientifico e filosofico12.

Il modello della storia del pensiero scientifico appare efficace anche nel risolvere i problemi del rapporto tra scienza e tecniche e quello tra storia generale della scienza e storie delle scienze particolari.

Preti, per un verso, rileva lo stretto rapporto tra scienze e tecniche, sia nel senso che le scienze hanno ricadute tecniche, sia in quello che lo sviluppo delle scienze è spesso determinato dai progressi tecnici. D’altro canto gli appare innegabile che scienze e tecniche si presentino con caratteristiche e valori diversi e ritiene quindi opportuno operare una distinzione tra questi ambiti disciplinari, anche se, a volte, sul piano storiografico, la cosa appare evidente, mentre in altri casi si mostra impossibile. La storia del pensiero scientifico supera questo problema non addentrandosi nei dettagli della storia delle scienze e delle tecniche e concentrando al contrario la propria attenzione soprattutto sui modelli del mondo che variano con le epoche storiche e con le diverse prospettive culturali13.

Un altro problema aperto, secondo Preti, è se privilegiare una storia generale e sintetica della scienza o storie analitiche delle singole discipline. Scegliere la via sintetica potrebbe apparire più soddisfacente da un punto di vista culturale e maggiormente in grado di fornire uno sguardo globale sulla scienza e sui suoi rapporti con gli altri aspetti della riflessione umana. Il modello storiografico specialistico, impegnato nella ricostruzione della storia delle singole scienze particolari, sembrerebbe inoltre più esposto al rischio di prendere il modello della scienza contemporanea come punto di riferimento per giudicare della correttezza o dell’errore dei punti di vista del passato, quindi più esposto a far proprio l’esiziale punto di vista della logica dei precorrimenti.

Sul versante opposto, una storia sintetica della scienza non sarebbe in grado di dar conto degli sviluppi cronologicamente sfasati delle varie discipline. Per esempio matematica, fisica, chimica, ecc. hanno sviluppato livelli di evoluzione differente in tempi diversi e una ricostruzione storiografica unitaria dovrebbe dar conto di punti di vista disciplinari assai eterogenei pur nello stesso contesto storico.

Anche in questo caso, per il filosofo pavese la soluzione è il modello della storia del pensiero scientifico. In tale prospettiva quello che più importa non sono i dettagli tecnici dello sviluppo di questa o quella disciplina, ma il modello della natura adottato e il metodo della ricerca. Ogni epoca esprime così una scienza trainante (matematica per Platone, fisiologia per Aristotele, dinamica per il meccanicismo d’epoca moderna, ecc.), la quale caratterizza il pensiero scientifico del proprio tempo14.

Per Preti, come si è visto, un grave difetto di quasi tutte le storie della scienza è la tendenza ad appiattirsi sulla contemporaneità, cioè ad andare a cogliere i precorrimenti e i punti di vista delle scienze attuali. In tal senso Gentile ebbe a sostenere che della scienza non si può fare storia, in quanto una volta che si sia fatta una scoperta, questa poi rimane immutata nel tempo. Anche in questo caso il filosofo pavese ribadisce che la storia del pensiero scientifico libera, per un verso, dal rischio di una rincorsa ai precorrimenti schiacciata sul presente, dall’altro dalle obiezioni, del tipo di quelle di Gentile, sull’impossibilità della storia della scienza. Così facendo non ci sono più problemi di verità o meno delle teorie, che diventano fatti storici calati in un contesto culturale.

Pure questo modello storiografico contribuisce a rendere la storia della scienza una disciplina umanistica. Lo è, infatti, oltre che per la sua dimensione erudita e filologica, in quanto storia di un aspetto fondamentale della civiltà umana15, come era già stato rilevato da George Sarton, uno dei «”pionieri” e dei “maestri”» della storia della scienza contemporanea, «che a ventotto anni, nel 1912, dette vita a “Isis”: revue consacré à l’histoire de la science»16, che concepisce la storia della scienza come l’aspetto maggiormente rilevante della storia della civilizzazione17.

Nel 1956 il contesto culturale della Scuola di Milano si arricchì per la chiamata, voluta da Antonio Banfi, sulla prima cattedra italiana di Filosofia della scienza, di Ludovico Geymonat, che, attraverso la propria produzione scientifica e il proprio insegnamento universitario, aprì la filosofia della scienza in Italia al più qualificato panorama europeo e si impegnò attivamente alla diffusione della prospettiva del razionalismo critico e della valorizzazione della scienza, della tecnica e della loro storia, contribuendo in modo significativo a promuovere il valore culturale della scienza e a sollecitare anche una ripresa della sua storiografia, temi tutti ampiamente presenti e ribaditi nel gruppo degli allievi e collaboratori di Banfi.

Nonostante l’apporto di Geymonat, maggiormente concentrato sulle specificità tecniche e scientifiche delle diverse discipline, il modello di una storia della scienza d’area umanistica, impostato come storia del pensiero scientifico e storia delle idee, rappresentò l’impostazione egemone della disciplina all’incirca sino alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, quando, da più parti, sia per la sollecitazione operata dall’influenza della storiografia d’area anglosassone, sia per autonoma presa di coscienza dei principali gruppi di ricerca, se ne colse l’unilateralità e la necessità di integrarlo sul versante tecnico delle pratiche e delle procedure, impossibili da liquidare come dettagli irrilevanti senza privare la ricostruzione storica della scienza di aspetti per essa determinanti.

A questi sviluppi la storia della scienza in Italia giunse attraverso l’apporto di diversi studiosi e lungo differenti percorsi. Sicuramente la via della ricostruzione della storia delle scienze particolari spinse verso una forte attenzione non solo per le idee filosofiche della scienza o per la storia delle idee nel loro complesso, ma anche per gli aspetti pratici e procedurali delle scienze, come accadde, per esempio, per alcune ricerche di storia della medicina e per il lavoro di altri studiosi dediti alla ricostruzione della storia della matematica, della fisica e delle altre scienze formalizzate. Non mancarono poi precursori, che, in modo autonomo, nelle loro personali ricerche, anticiparono un approccio sensibile non solo agli aspetti teorici della scienza, ma anche alle sue tecniche e alle sue procedure. Altri ancora superarono l’iniziale prospettiva di una storia della scienza concentrata solo sulle sue idee e sui suoi concetti principalmente attraverso l’apertura al dibattito internazionale e l’influenza dei modelli storiografici d’area anglosassone. Per alcuni altri, però, strettamente legati alla tradizione culturale e filosofica della Scuola di Milano, il superamento di una storia della scienza attenta solo agli aspetti teorici avvenne come naturale applicazione al loro lavoro di ricerca del principio dell’empirismo critico, che era stato un punto di riferimento metodologico della riflessione di Preti, Dal Pra e degli altri studiosi di quel contesto culturale, nel quale era già presente la spinta metodologica determinante a superare il limite del loro stesso modello storiografico della scienza18.

 

Note

1 Contributo già edito in D. Generali, «La storia della scienza nella Scuola di Milano», in Sulla Scuola di Milano. Antonio Banfi e Valentino Bompiani nella cultura e nella società italiana dalla dittatura alla democrazia, a cura di F. Minazzi, Giunti, Firenze 2019, pp. 153-159.

2 Conservata nel Fondo Preti presso l’Archivio del “Centro Internazionale Insubrico ‘Carlo Cattaneo’ e ‘Giulio Preti’ per la Filosofia, l’Epistemologia, le scienze cognitive e la Storia della Scienza e delle Tecniche” dell’Università degli Studi dell’Insubria – Varese, e fornitaci cortesemente in copia dall’amico Fabio Minazzi, che ringraziamo per la segnalazione.

3 Sulla rinascita della storia della scienza in Italia nel secondo dopoguerra, sulla concezione che aveva Preti di questa disciplina e sull’influenza che assai probabilmente esercitò in quegli anni sul modello storiografico della scienza di Paolo Rossi cfr. D. Generali, «Giulio Preti storico della scienza nelle lezioni milanesi del 1949-1950», in Sul Bios theoretikós di Giulio Preti. Problemi aperti e nuove prospettive del razionalismo critico europeo e lombardo alla luce dell’archivio inedito del filosofo pavese, a cura di F. Minazzi, Mimesis, Milano-Udine 2015, vol. I, pp. 629-646; Id., «Mario Dal Pra: un maestro di rigore scientifico e civile nella Statale degli anni Settanta», in Mario Dal Pra nella “Scuola di Milano”. La filosofia come meta-riflessione critica sulle differenti tradizioni concettuali (filosofiche, scientifiche e tecniche), a cura di F. Minazzi, Mimesis, Milano-Udine 2018, pp. 507-515: 509-510 e F. Luzzini, «Bibliographical Distorsions, Distorsive Habits: Contextualizing Italian Publications in the History of Science», in Isis Current Bibliography, Vol. 109, Num. S1, December 2018, Part.I, Bibliographical Essay, pp. 3-13: 5-8.

4 Sulla storiografia della scienza in Italia dal Risorgimento sino alla seconda Guerra mondiale cfr. Scienze e storia nell’Italia del Novecento, a cura di C. Pogliano, Centro Studi Enriques, Edizioni Plus – Pisa University Press, Pisa 2007.

5 Sulla figura, la riflessione e l’opera di Giulio Preti esiste un’ampia e qualificata letteratura critica, con numerosi testi di riferimento, fra i quali: F. Minazzi, Giulio Preti: Bibliografia, Franco Angeli, Milano 1984; M. Dal Pra, Studi sull’empirismo critico di Giulio Preti, Bibliopolis, Napoli 1988; P.L. Lecis, Filosofia, scienza, valori: il trascendentalismo critico di Giulio Preti, Morano, Napoli 1989; Il pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, a cura di F. Minazzi, Franco Angeli, Milano 1991; F. Minazzi, L’onesto mestiere di filosofare, Franco Angeli, Milano 1994; Id., Il cacodemone neoilluminista. L’inquietudine pascaliana di Giulio Preti, Prefazione di F. Papi, Angeli, Milano 2004; Giulio Preti filosofo europeo, a cura di A. Peruzzi, Olschki, Firenze 2004; Il pensiero filosofico di Giulio Preti, a cura di P. Parrini e L.M. Scarantino, Guerini, Milano 2004; V. Tavernese, Giulio Preti. La teoria della conoscenza nel saggio postumo ‘In principio era la carne’, Firenze Atheneum, Scandicci 2007; L.M. Scarantino, Giulio Preti. La costruzione della filosofia come scienza sociale, Bruno Mondadori, Milano 2007; Le mektoub tunisien de Giulio Preti. La vie et l’oeuvre d’un philosophe italien rationaliste, sous la direction de M. Brondino et F. Minazzi, Editions Publisud, Paris 2009; J. Petitot, Per un nuovo illuminismo,Prefazione e traduzione dal francese a cura di F. Minazzi, Bompiani, Milano 2009; F. Minazzi, Suppositio pro significato non ultimato. Giulio Preti neorealista logico studiato nei suoi scritti inediti, Mimesis, Milano 2011; Id., Giulio Preti: le opere e i giorni. ‘Una vita più che vita’ per la filosofia quale onesto mestiere, Mimesis, Milano 2011; Sul Bios theoretikós di Giulio Preti. Problemi aperti e nuove prospettive del razionalismo critico europeo e lombardo alla luce dell’archivio inedito del filosofo pavese, cit.

6 M. Dal Pra, op. cit., pp. 20-22.

7 Ivi, pp. 68-71.

8 G. Vailati, Sull’importanza delle ricerche relative alla storia delle scienze, Roux-Frassati, Torino 1897. Sulla necessità per Vailati di un approccio storico e critico alla scienza, cfr. D. Generali, «Storia e storiografia della scienza», in F. Andrietti – D. Generali, Storia e storiografia della scienza. Il caso della sistematica, Franco Angeli, Milano 2002 (3a ed. 2009), pp. 21-24.

9 M. Dal Pra, op. cit., pp. 78-81.

10 Ivi, pp. 121-126.

11 Ivi, pp. 126-130.

12 Ivi, pp. 130-136.

13 G. Preti, «Considerazioni di metodo sulla storia delle scienze», Rivista critica di storia della filosofia, a. XIII, ottobre-dicembre 1958, pp. 450-454.

14 Ivi, pp. 454-456.

15 Ivi, pp. 456-457.

16 P. Rossi, I ragni e le formiche, Il Mulino, Bologna 1986, p. 186.

17 D. Generali, «Storia e storiografia della scienza», cit., pp. 25-26.

18 Per l’evoluzione del modello storiografico della scienza dal secondo dopoguerra a oggi e per un quadro di sintesi degli studiosi che la promossero cfr. D. Generali, «Giulio Preti storico della scienza nelle lezioni milanesi del 1949-1950», cit. e F. Luzzini, «Bibliographical Distorsions, Distorsive Habits: Contextualizing Italian Publications in the History of Science», cit., pp. 5-8.

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