La Croce e l’immagine di Cristo nel percorso culturale e nell’opera pittorica di Giovanni Testori

Di: Michele Del Vecchio
1 Novembre 2023

 

La sobria palazzina di Novate Milanese dove nacque Giovanni Testori nel 1923 è disposta su due piani. La facciata principale, prospiciente la piazza della stazione, è semplice, liscia, con appena un cenno di leggero rilievo; il retro, invece, è più mosso: una veranda e un ampio terrazzo si affacciano su un giardino ombroso e protetto. Poco lontano si intravedono le sagome di bassi edifici industriali dove, tuttora, si svolge l’attività dei laboratori di tessitura fondati dal padre di Giovanni, Edoardo Testori. La casa di Novate si è ora trasformata in una elegante casa-museo, sede della Associazione Giovanni Testori, fondata allo scopo di tutelare l’opera dello scrittore, scomparso nel 1993, curarne l’archivio, la biblioteca (splendida), la quadreria e promuovere, per l’anno in corso, iniziative per celebrare la duplice ricorrenza del centenario dalla nascita e del trentennale della morte. Tali iniziative affiancheranno la mostra fotografica, già avviata, intitolata «Fotoromanzo Testori». Altre sono in progetto, in modo che la casa-museo di Novate possa diventare centro propulsivo del pensiero e delle opere dello scrittore e luogo di raccolta e di elaborazione delle testimonianze di una avventura intellettuale sicuramente tra le più suggestive del secondo Novecento italiano. 

 

Profilo di una genialità eclettica 

L’attività culturale di Testori è diramata in una vertiginosa pluralità di testi e opere letterarie, di realizzazioni visive e figurative, di scritti interpretativi, di ideazioni sceniche, di eventi artistici, recitativi e teatrali. Testori si è misurato con molti generi di scrittura: narrazione, drammaturgia, poesia, critica, giornalismo. Era un grande affabulatore, che sapeva tenere insieme il lume dello sguardo e l’incantesimo della parola. Si inventò una neolingua per la recitazione della sua drammaturgia: un impasto di latinismo, di francesismo, di forme dialettali e gergali, di distorsioni, di neologismi, di puri suoni ed ebbe l’audacia di riscrivere con essa le pagine di alcuni capolavori eterni della letteratura occidentale (i famosi «rifacimenti» o «stupri» di Edipo, Amleto, Faust, Macbeth, Promessi Sposi). Aveva dunque creato una lingua per il palcoscenico! La “Trilogia degli Scarozzanti” (L’Ambleto, Macbetto ed Edipus) segna il punto di avvio di questo percorso linguistico che ricorda quello analogo di Pasolini in Ragazzi di vita.
Era animato da una vis creativa inesauribile, da un bisogno fatale di andare sempre oltre, da una insopprimibile vocazione alla verticalità. Sentimenti, questi, che confluivano anche nella sua religiosità inquieta. Testori era un cattolico, pienamente riconosciuto tale soltanto da don Luigi Giussani. Il suo incontro con Cristo non si è mai concluso. Una vita intera non gli era bastata. La sua era una insorgenza permanente contro il presente e avvertiva l’insoddisfazione e il disagio dell’uomo “in rivolta”. E in questa veste vogliamo continuare a pensarlo. 

 

Attualità di un «inattuale»: Testori e altri «eretici» dell’Italia contemporanea 

Le argomentazioni di Testori sono state spesso accolte dal pubblico con una sorta di retropensiero, con un sospetto di «inattualità» e anacronismo. Egli, tuttavia, ha saputo imporsi e diventare un intellettuale ascoltato, una voce autorevole e libera. Nel 1977, su invito del direttore del Corriere della Sera, Franco Di Bella, prese il posto che era stato di Pier Paolo Pasolini (morto nel 1975), come opinionista. Esordì con un intelligente e provocatorio articolo intitolato La cultura marxista non ha il suo latino1, in cui discuteva, con grande lucidità, e un filo di sottile ironia, sulla distanza, sul confine invalicabile che separava le due diverse (e allora inconciliabili) tradizioni: quella cattolica (che ha mantenuto la tradizione latina come una sua perenne linfa vitale) e quella marxista, desolatamente ideologica e inesorabilmente destinata al declino. Pasolini, ma anche Leonardo Sciascia, sono stati spesso accostati a Testori e molti hanno stabilito fra i tre autori una linea di continuità, in ragione del comune atteggiamento «eretico» verso il Potere. C’è del vero in questo, ma ci sono anche marcate differenze, forse troppe.
Altri nomi si potrebbero fare, come quello di Guido Ceronetti: poeta, scrittore e saggista, giornalista, traduttore geniale dall’ebraico biblico (Isaia, Giobbe, I Salmi, Qohelet, Cantico dei Cantici). Ceronetti era sicuramente più “in linea” con Testori, ma anch’egli solo fino ad un certo punto. Era infatti un intellettuale di nicchia, un autore per pochi, uno scrittore spesso associato ad una élite di vaga ispirazione «gnostica» e in questo certamente diverso da Testori, che invece era naturalmente portato verso il grande pubblico. 

 

Periodizzazione della attività di Testori dalla fine della guerra alla scoperta del Sacro Monte di Varallo: il percorso di formazione storico-artistica 

Abbiamo accennato al Testori narratore e drammaturgo. Dobbiamo ora introdurre un nuovo plesso di questioni e di tematiche che afferiscono all’area delle arti figurative (pittura), delle arti plastiche (scultura) e all’area della formulazione del giudizio storico-critico, a cui appartengono gli scritti prodotti da Testori nelle sue ricerche di storia dell’arte. Lo facciamo a partire da un accenno alla precoce propensione artistica del giovane Testori. Attorno ai diciotto/vent’anni egli dipingeva, cercava di trasformare in atelier il proprio spazio di lavoro, scriveva articoli sulla pittura contemporanea. Era già un «critico» che discettava di dipinti e di correnti artistiche sulle riviste giovanili dei Guf (Gioventù Universitaria Fascista)2, come è stato indicato anche recentemente da Giuseppe Frangi. Gli anni del dopoguerra vennero impegnati nella costruzione di una rete di amicizie, per poter partecipare alle tante e nuove iniziative artistiche. La svolta verso un radicale cambiamento -rispetto agli interessi del decennio precedente concentrati sulla contemporaneità-, si presentò nel 1951, in occasione della apertura, a Palazzo Reale di Milano, della mostra su Caravaggio. Ideatore dell’evento era stato Roberto Longhi. Il «Professore» era già allora uno studioso di notevole prestigio e il grande successo della mostra sul Caravaggio, a cui aveva dedicato alcuni celebri studi interpretativi, ne rafforzò il peso e il ruolo di indiscusso leader. Testori si fece avanti, contattò il maestro, gli sottopose alcuni quesiti e alcuni lavori di ricerca condotti in proprio. Ne ebbe in cambio l’allettante proposta di preparare uno studio su Francesco (del) Cairo, che venne pubblicato nel 1952 sulla prestigiosa rivista Paragone, che il Longhi dirigeva. Il rapporto tra i due imboccò il binario giusto e i frutti non tardarono ad arrivare. Nel 1953 Longhi lo chiamò a collaborare alla realizzazione della mostra sui «Pittori della realtà in Lombardia» a Palazzo Reale. Un’altra esposizione epocale che avrebbe riscritto la storia dell’arte del nostro paese. Erano presenti le opere di tutti quei pittori che diverranno poi il pane quotidiano di Testori: il Moretto da Brescia, Gerolamo Savoldo, Giovan Battista Moroni, Carlo Ceresa, Evaristo Baschenis, Antonio Cifrondi, Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto. Una iniziativa molto importante perché segnò il punto di rottura rispetto a quella tradizione aulica che si riconosceva soltanto nei valori formali della pittura rinascimentale. Il Longhi espose a Palazzo Reale pittori di «periferia», quadri con soggetti caratterizzati da un «naturalismo» totale: piedi sporchi, mani callose, visi rugosi, lavori pesanti, ambienti poveri. Per Testori fu un ulteriore passo verso i successivi impegni a cui sembrava ormai destinato. Nel 1956 collaborò con il museo Borgogna di Vercelli per la realizzazione della mostra su Gaudenzio Ferrari e, nell’ottobre del 1959, fu tra i collaboratori della mostra allestita a Palazzo Madama di Torino, dedicata a Tanzio da Varallo. Nello stesso anno pubblicò la sua ricerca sugli affreschi di Giovanni Martino Spanzotti, raffiguranti la vita di Cristo nella chiesa di San Bernardino di Ivrea. La via per il Sacro Monte era finalmente aperta3. 

 

Una «Montagna incantata» a due ore da Milano: il Sacro Monte di Varallo Sesia 

La scoperta, da parte da parte di Testori, del Sacro Monte di Varallo Sesia, risale al 1956 quando fu chiamato a redigere le schede di presentazione delle opere esposte nella mostra su Gaudenzio Ferrari a Vercelli. Affascinato dall’imponente attività artistica svolta dal pittore di Valduggia, decise di impegnare tempo ed energie nello studio di colui che, più di tutti, aveva contribuito alla fondazione di quel sito straordinario, costruito appena sopra Varallo. Il progetto del Sacro Monte era nato nel Quattrocento, per iniziativa di un frate che intendeva realizzare un modello ridotto della città di Gerusalemme, che era appena caduta nelle mani dei Turchi. Il progetto iniziale naufragò e venne sostituito da un secondo progetto, che prevedeva la realizzazione di una Via Crucis. E così avvenne. Furono costruite una cinquantina di cappelle, ognuna delle quali rappresentava un episodio della passione di Cristo. Le cappelle vennero corredate di statue lignee o in terracotta, ad altezza naturale e le pareti interne delle cappelle furono affrescate e colorate. Buona parte di questi lavori da «plastificatore» e pittore fu opera del Ferrari. Testori comprese, con infinita ammirazione, il contributo di Gaudenzio e nel 1965 pubblicò, presso Feltrinelli, il suo libro sul Sacro Monte: Il gran teatro montano. Saggi su Gaudenzio Ferrari4. Questo testo contribuì in modo decisivo alla acquisizione critica della impresa artistica compiuta, quasi in solitudine, da Ferrari. Alla Val Sesia, ai suoi contadini, boscaioli, allevatori, piccoli artigiani, andava il merito di aver accolto e tramandato nei secoli un’opera di intensa ispirazione popolare e di grande afflato religioso. 

 

«Il gran teatro montano»: la cappella della Crocifissione 

Il volume è costituito da una «Premessa» e da cinque capitoli, tre dei quali erano però già stati pubblicati. Il capitolo finale (il quinto) si stacca dai quattro che lo precedono per la straordinarietà della narrazione che Testori in esso sviluppa. In questo capitolo, intitolato «Meditazioni vecchie e nuove sulla Croce», l’autore presenta la descrizione della cappella della Crocifissione (Cappella XXXVIII): racconta ciò che Gaudenzio Ferrari ha rappresentato negli affreschi murali, descrive, per rapidi cenni, le statue lignee, si sofferma su alcune di quelle in terracotta policroma che compongono la maggior parte della statuaria. Affreschi parietali e statue sono opera esclusiva del «pittore di Valduggia», il grande Gaudenzio. Tutta le statue sono rivestite con abiti del tempo e molte hanno anche capelli e barbe, aggiunti per consolidare l’effetto realistico. La descrizione di Testori prosegue e si sofferma sulle statue in legno dei due ladroni (le più belle) appese alle rispettive croci; poi passa alla statua in legno di Cristo crocifisso che è poco rifinita e di qualità estetica inferiore. E ancora: statue di cavalli, di soldati, delle pie donne, di uomini del popolo. Nella descrizione di questi ultimi Testori compie un «salto» e trasla dal piano della «realtà» a quello della «immaginazione»: i «popolani» diventano, nella sua narrazione, i contadini della Val Sesia. È una geniale «invenzione»: nella cappella della Crocifissione – dove Ferrari ha raffigurato il Golgota ed il supplizio di Cristo – sono «presenti», ed effigiati anche in alcune statue di creta, i valligiani locali. Sono lì, in quel Golgota fittizio, in quel luogo dell’immaginario perché Testori ha voluto dare a loro una presenza, un ruolo attanziale nella scenografia e nella iconografia della agonia di Cristo: 

Guardate le mani e il peso delle palme, guardate le cavità dei grembi; il gonfior delle vene, il loro turgido pulsare fin sotto i manti e le gambaliere; guardate le guance, ora rosa, ora tirate all’ossa, come pelli di certi asini o muli da montagna; guardate le bocche; e certi aliti che ne escono: di lato al frumento e al latte dei bambini, il vino, la polenta, le cicche e lo strame degli adulti barbuti e dei guerrieri; guardate i colli; quello taurino…; e la sua bocca a curva, dove sembra riassumersi tutta una fisica e mortale amarezza; … di tanto in tanto, vi arriverà un lezzo; mai estremo…ma pur d’umani sudori intriso, e cene, e stanze, e letti, e coperte e capanne…Una realtà di carne; crete essudanti; pelli scottate dal sole infallibile del Rosa;…storie di carne che si fa creta pur restando carne; se non è qui, proprio qui il procombere lento di tutto verso la sua più lontana origine e la sua vera pace, la morte […] E così il lettore, anzi il visitatore, perché a tal trasformazione vorrei augurarmi che le mie parole siano giunte, torni a guardare; a scoprire, a tessere la sua tela tra visi di creta-carne e di carne-creta5. 

Quando negli scritti di Testori incontriamo il sintagma «la parola della croce» o anche semplicemente la «croce», noi possiamo riconoscere in esso un significato analogo a quello del sintagma «creta-carne», ossia «dono della vita», «soffio eterno che dona vita». La «creta-carne» significa l’affermazione dell’unicità della dimensione spirituale-corporale nel dramma eterno della vita, morte e resurrezione. Non c’è dualismo tra mente e corpo, né tra psiche e soma. 

Il corpo di Cristo tra kenosi e Gloria 

Testori ripercorre incessantemente nella sua opera letteraria e figurativa il processo kenotico che il Cristo patisce e che si conclude con lo «scandalo» della croce. Lo scrittore lombardo ha piena consapevolezza del valore di «sfida» che lo «scandalo» della croce offre alla ragionevolezza dell’uomo. Una fede ed un culto rivolti ad un uomo crocifisso erano del tutto improponibili già nel mondo antico. Tuttavia la croce ha un significato salvifico per i fedeli di Cristo, come insegnano i Vangeli. Testori sa bene di trovarsi di fronte ad un enigma abissale e nei suoi scritti si avverte la presenza operante di una verità e il personale radicamento dell’autore nella dimensione della fede. Verità e fede che sono per Testori il Cristo sofferente, il Cristo della redenzione, il Cristo della grazia che diventa, nella fede credente di Testori, il Cristo della pienezza e della Gloria. 


Christus patiens
: la crocifissione nell’opera figurativa di Testori 

La produzione pittorica e grafica di Testori è stata caratterizzata da una forte discontinuità temporale. La prima fase comprende il periodo del suo precoce interesse per la pittura (1941-1945) e il quinquennio successivo. Un tempo di preparazione e di maturazione espressiva che lo porta a realizzare, nel 1949, un dipinto sulla Crocifissione, che resterà probabilmente il suo capolavoro6. Si tratta di un dipinto ad olio di notevolissima fattura, in cui si percepiscono chiaramente influenze del cubismo picassiano, ma in cui egli esibisce, offre un’indiscutibile prova di talento e di originalità. Talento nella scelta del soggetto centrale, ovvero l’Agnello immolato che rappresenta il Cristo. Nel cuore del dipinto egli pone un agnello, quale potente emblema del sacrificio innocente di Cristo. Talento che si manifesta anche nel secondo elemento di grande qualità del quadro ossia il colore. Questa tela di notevoli dimensioni (120×100 cm), vertice della espressività testoriana, segna però una battuta di arresto nella sua pittura e la fine della prima stagione pittorica. Dopo di essa e per oltre vent’anni il suo autore si occuperà solo di scrittura. Bisognerà attendere la metà degli anni Sessanta per ritrovare in Testori una pallida vena figurativa. In quel decennio egli compone una
serie di disegni di ispirazione naturalistica (fiori, piante) a cui segue poi un nuovo periodo di silenzio. Nel decennio successivo egli si cimenta con la tecnica dell’acrilico, alternandola a disegni anatomici di vibrante carnalità. Bisogna però attendere gli anni Ottanta per un ritorno al tema della Crocifissione. In questo arco di tempo realizza una serie di disegni a pastello grasso e matita in cui emergono due distinte influenze pittoriche, quella di Sutherland e quella di Bacon.
Graham Sutherland eseguì nel 1947 una celebre crocifissione, passata alla storia come la «Crocefissione di Northampton», un olio su masonite, che divenne un punto di riferimento per Testori e per tutti quei pittori che si cimentavano con soggetti di ispirazione religiosa. L’opera dell’artista inglese (che fu anche un insigne ritrattista: celebre il suo ritratto di Winston Churchill), segnò una svolta nell’iconografia della passione di Cristo. La figura del Crocifisso è fortemente drammatizzata e il tratto pittorico sembra martoriare un corpo già trafitto da spine, chiodi e aculei. Testori ha coniato il sintagma “teologia della spina” per indicare la corona del Golgota posta sul capo di Cristo e riconosce una “grandezza filosofica” alla pittura di Sutherland.
Francis Bacon è l’altro fondamentale riferimento7. Il Cristo nella sua Crocifissione del 1962 non è più riconoscibile. È trasformato in un corpo squartato, con il torace aperto, appeso a testa in giù. Scrive Testori: «Cristo viene ridotto da Bacon ad una bocca, ad un foro urlante […] in Bacon ritorna il Crocifisso forse più barbarico, quello di Cimabue, che in Bacon si sovrappone per oltranza a quello di M. Grünewald. Tuttavia c’è un gesto, insieme di amore e di bestemmia, che Bacon compie: quello di rovesciarlo, di capovolgere Cristo»8. L’influenza di Bacon, e della sua torsione deformante, su Testori a partire dagli anni Sessanta è stata decisiva. E si è mantenuta nel tempo come appare anche dagli ultimi suoi lavori e come conferma lui stesso in un articolo pubblicato sul Corriere nel marzo del 1993, pochi mesi prima della sua morte. L’ultimo confronto con il pittore irlandese/inglese, in occasione di una sua mostra a Lugano, in cui Testori scrive che «in questa esposizione non ci sono solo quei dipinti a cui eravamo abituati: una bocca ferita o spalancata in un urlo o in un vomito di sangue e neppure uno dei celeberrimi intrichi di siringhe»; poco dopo, di fronte ad un altro nucleo di opere, Testori annota che «il pittore ha finalmente schiacciato il pedale della propria poesia di disperazione, di gloria e di morte» e scrive di «immane operazione sulla vita e sulla chirurgia esistenziale […] grande Bacon che riesce a mescolare attivamente l’inferno a una sorta di regno di antichi imperi, di antiche porpore, di antiche glorie, di uno dei prestigiosi maestri della bellezza planante del secolo […] un genio, solo un genio può portarci a queste soglie per mostrarci che, pur nell’immensità delle domande tragiche, si vuole estrema la leggerezza di lui, l’amore». La prosa di Testori è complessa perché di natura interlinguistica e votata a coniugare parola e visione. E tuttavia ci pare che, giunto al termine del suo giorno, Testori non manchi di un riconoscimento verso il pittore irlandese/inglese, riconoscimento della grandezza, e al tempo stesso della enigmatica (in)accessibilità della sua poetica. Come uno scrigno che non si lascia aprire.
I disegni a pastello e matita con i quali Testori ritorna sul tema della Crocifissione mostrano la svolta avvenuta: i ventuno pezzi realizzati a partire dal 1985 raffigurano corpi liquidi, in cui non si colgono più forme umane: un Cristo «disincarnato», attorcigliato, al punto che le sue membra «sembrano rettili, ammassi di clavicole, femori, tibie. Riplasma l’uomo crocifisso nella unità di croce e membra, in un solo corpo che soffre tutte le distorsioni e amputazioni e anamorfosi che già Picasso, Bacon e Sutherland avevano attuato»9.

 

Due pubblicazioni di riferimento sul tema della Crocefissione in Testori e in altri autori 

Il volume Davanti alla Croce, curato da Fulvio Panzeri, è il testo che meglio illustra la posizione di Testori, a partire dagli anni Settanta, nell’ambito delle sue scelte figurative10. Vi sono documentate con molta chiarezza le diverse poetiche adottate, non solo nelle arti figurative, ma anche in quelle poetico-letterarie. Infatti il tema della Crocifissione ha ispirato anche la prosa e in modo particolare la poesia di Testori: Ossa mea, Nel tuo sangue e altre raccolte. Il Panzeri ripubblica alcuni articoli apparsi sul Sabato e sul Corriere della Sera, che completano il quadro in cui ha operato Testori.
Di indubbio interesse si rivela il suo articolo sulla Via Crucis in ceramica, realizzata nel 1947 da Lucio Fontana, attualmente esposta al Museo Diocesano di Milano. Nel testo l’autore presenta quattro Crocifissioni: Bacon, Beckmann, Hoedicke, Matisse. Da segnalare anche il capitolo dedicato alla Via Crucis di Vertova, un paesino della Val Seriana. Il volume contiene infine il catalogo della mostra (IN)CROCI, allestita presso il museo Amedeo Lia di La Spezia, dedicato al tema della «Passione di Cristo», a cura di Davide Dall’Ombra e Andrea Marmori11, in cui è stata esposta la Crocifissione del 1949, insieme ai venti disegni preparatori e ad una selezione dei disegni degli anni Ottanta. 


Conclusione: Testori e la teologia della croce 

Ci chiediamo: è possibile riportare la posizione religiosa di Testori ad un protocollo teologico? Certamente, sì. In lui c’è sempre stato un tumulto di domande su Dio, segno inequivocabile della presenza di una prenozione di Dio che si manifesta, al tempo stesso, come consapevolezza della relazione di dipendenza creaturale. La prenozione di Dio propizia anche il riconoscimento della rivelazione di Dio in Cristo e l’accoglimento del principio cristologico della teologia paolina, il potere salvifico della «parola della Croce»: 

Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il vangelo, e non in sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo. 1,18: La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio (1 Cor 1,17). 

Questi due versetti sono l’architrave di questa teologia che esalta il significato salvifico della Croce. La «parola della croce» della Prima Lettera ai Corinzi è una delle sfide più impegnative del cristianesimo delle origini. Per Paolo la Croce – come ha spesso ricordato anche papa Benedetto XVI – ha un primato fondamentale nella storia dell’umanità perché essa rappresenta la salvezza come «grazia» donata ad ogni creatura12.
Concludiamo questo lungo confronto con Testori con un paio di domande, stimolate proprio dal contatto con la sua opera, domande che afferiscono al problema di Dio, oggi. È opportuno riconoscere che ha ragione colui che afferma che il pensiero di Dio, oggi, non si presenta più solamente come la eterna, secca e insuperabile alternativa: «c’è/non c’è». Quella alternativa tra l’essere e il non essere di Dio, quel modo di approcciare il problema andrebbe sostituito/integrato da un punto di vista diverso e capace di formulare interrogativi meno diretti, ma più dialogici, forse anche più difficili e forse anche più coraggiosi rispetto all’aut/aut precedente. Interrogativi simili ai seguenti: «Quale Dio esiste? E dove si trova?» e ancora «In quale luogo si può fare, oggi, esperienza di Dio?». 


Note 

1 G. Testori, La maestà della vita e altri scritti, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1998.
2 Sulla giovanile collaborazione di Testori a periodici del Guf cfr.: F. Panzeri, Vita di Testori, Longanesi, Milano 2003, pp. 22-35; G. Frangi, «La pittura di Testori», in Doppiozero (2023). Sulla storia dei Guf cfr. L. La Rovere, Storia dei Guf: organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria fascista 1919-1943, Bollati Boringhieri, Torino 2003.
3 Sugli scritti di storia e di critica d’arte relativi a Gaudenzio Ferrari e Tanzio da Varallo cfr. G. Testori, La realtà della pittura: scritti di storia e critica d’arte dal Quattrocento al Settecento, Longanesi, Milano 1995.
4 G. Testori, Il gran teatro montano: Saggi su Gaudenzio Ferrari. Nuova edizione a cura di Giovanni Agosti, Feltrinelli Editore, Milano 2015.
5 Ivi, pp. 212-214.
6 Id., «La crocifissione 1949» in D. Dall’Ombra-A. Marmori, (In)croci al Museo Lia: la passione di Cristo secondo Giovanni Testori, Casa Testori associazione culturale, La Spezia 2018, p. 24.
7 G. Testori, Davanti alla croce: parola, arte e vita, Interlinea, Novara 2011, p. 65.
8 Ivi, p. 58
9 G. Testori, «Gli assalti del destino», Corriere della Sera (1993).
10 Cfr. G. Testori, Davanti alla croce, cit., p. 11.
11 D. Dall’Ombra-A. Marmori, (In)croci al Museo Lia, cit.
12 In merito a queste tematiche cfr. L. Doninelli-G. Testori, Conversazioni con Testori, Silvanaeditoriale, Cinisello Balsamo (Milano) 2012, pp. 159-164. 

(d.s.delvecchiomichele@gmail.com)

 

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