Storia di Jay

Di: Giovanna R. Giardina
8 Marzo 2011

Storia di Jay è un breve ma suggestivo romanzo di Giorgio Montaudo, professore di Chimica Industriale presso l’Università di Catania e già Presidente dell’Accademia Gioenia, esperto di chimica dei materiali polimerici con uno spiccatissimo interesse verso temi epistemologici e una passione verso la scienza dell’antichità greca. Proprio da questa passione, nutrita da lunghi anni di molte letture, nasce questo romanzo. La cornice è semplice, rappresentando essa un pretesto per fornire al lettore uno spaccato ben documentato della scienza greca fra IV e III sec. a.C. Alla fine del XXII secolo un gruppo di mutanti, nel silenzio e nell’ombra, riesce a organizzarsi in una comunità sufficientemente sviluppata per poter mettere in essere un piano tanto ambizioso quanto obbligato: evitare un disastro ecologico che cancellerebbe la specie umana. A questo fine, i mutanti devono intervenire sui trascorsi della storia, o meglio sullo sviluppo del pensiero scientifico, poiché l’unica speranza di salvezza per la specie umana consiste nel far sì che essa disponga, nel XXII secolo, di conoscenze scientifiche più avanzate.

La “mente viaggiante”, il cui nome è Jay, inizia il suo percorso nella Grecia antica avendo come suo primo obiettivo Aristotele. Lo incontra per la prima volta nel cortile dell’Accademia, dove riesce a farsi condurre bambino –non c’è infatti tempo da perdere: Platone è anziano e la successione di Speusippo, che avrebbe costretto Aristotele ad allontanarsi da Atene, è vicina– e dove ha sùbito modo di suggerire l’espediente per capire in che maniera e attraverso quali fasi evolutive dall’uovo, semplice liquido trasparente e rosso, possa nascere dopo un certo tempo un pulcino. A partire di qui si sviluppa una trama avvincente, perché il lettore è messo di fronte ai grandi intelletti della scienza greca che sono presentati innanzitutto come uomini, immersi in vicende intellettuali ma anche esistenziali, con le loro difficoltà di rapporti e le loro vicissitudini “accademiche”, e posti in relazione tra loro. E in queste vicende molto colpisce quella, già citata, della successione dell’Accademia con i conseguenti dubbi sui rapporti fra Aristotele e Senocrate; quella che coinvolse Archimede insieme con gli scienziati alessandrini che, fuor d’ogni dubbio, gli furono inferiori e che perciò, verosimilmente, tale inferiorità vissero con un sentimento di avversione e di malevolenza nei confronti del siracusano; e infine la fase infedele dello scolarcato di Teofrasto al Liceo, che costringe la nostra “mente viaggiante” a trafugare gli scritti esoterici di Aristotele per trasportarli ad Alessandria. Senza contare l’incontro con Euclide, nel ventre della famosa biblioteca, chino a tracciare formule e disegni nei quali, a un’occhiata fugace, l’occhio esperto di Jay riconosce subito gli Elementi. Non, quindi, semplici medaglioni a cui assegnare questa o quella teoria, questa o quella soluzione di un problema, ma uomini immersi in un’epoca, condizionati dal pensiero a loro contemporaneo ma al tempo stesso animati da una smisurata spinta alla ricerca e al sapere. Non a caso il libro è utilmente corredato, alla fine, da una tavola cronologica mediante la quale il lettore è facilitato a riconoscere le connessioni fra gli eventi storico-politici, gli scienziati e le loro teorie.

All’interno di questo impianto, con semplicità e completezza, l’Autore mette in campo di volta in volta molti problemi scientifici, ora matematici, ora fisici, ora astronomici, ora biologici, affrontati e ricercati fra IV e III sec.: dal geocentrismo con la relativa questione della posizione dei pianeti, difficilmente risolvibile all’interno di un’astronomia di posizione e in assenza di strumentazioni sofisticate, al problema tutto fisico, trattato naturalmente dalla parte dell’Atomismo democriteo, di un sostrato materiale minimo e semplicissimo; dall’esistenza del vuoto trattata nei Pneumatica di Strabone contro la posizione teorica di Aristotele, alla geometria archimedea basata su sei postulati anziché su cinque come quella euclidea. Un posto di giusto rilievo viene infine dato all’introduzione, da parte di Archimede, del concetto di numero in geometria, con la conseguente soluzione numerica del problema del rapporto fra circonferenza e raggio, nonché ai progressi nel campo della meccanica e della progettazione di macchine, e, infine, alle intuizioni archimedee dei concetti di serie, di limite e di infinitesimo che, ripresi da Newton e Leibniz, avrebbero condotto fino alle attuali teorie di analisi infinitesimale.

E a questo proposito mi sembra opportuno proporre una riflessione. È comune opinione che il calcolo infinitesimale sia stato inizialmente sviluppato nel mondo scientifico greco di età ellenistica a opera di Eudosso di Cnido con il metodo di esaustione, e che esso abbia raggiunto risultati di piena maturità con Archimede. In seguito, come è noto, dopo una serie di progressi ascrivibili, fra gli altri, anche a Cartesio, sono stati elaborati da Newton e da Leibniz i fondamenti del calcolo infinitesimale moderno. Nel XIX secolo, poi, gli obiettivi dell’analisi infinitesimale si ampliano e, in particolare, dopo la precisazione da parte di Dedekind della nozione di numero reale, grazie all’opera di Chauchy e di Weierstrass si è prodotta una revisione critica dei fondamenti dell’analisi infinitesimale, che è stata sistematizzata mediante l’introduzione del concetto di limite, il quale ha permesso la definitiva eliminazione da tale teoria dell’infinito e dell’infinitesimo attuali. Ora, se il percorso moderno che ha condotto all’odierna sistematizzazione dell’analisi infinitesimale è abbastanza chiaro, non altrettanto chiaro è il contributo che dobbiamo sicuramente ascrivere a Eudosso prima e ad Archimede poi. Se, infatti, è possibile scorgere nella geometria di entrambi qualcosa di molto simile alla soluzione finale di un processo illimitato, tuttavia il punto di vista aristotelico dell’inesistenza di un infinito in atto rimane sempre rispettato nei procedimenti di entrambi. Il metodo di esaustione di Eudosso, in altri termini, fa uso dell’infinito nell’unico modo consentito da Aristotele, e cioè evitando ogni riferimento concreto a una sua possibile esistenza in atto. D’altra parte, il postulato di Archimede, secondo il quale due grandezze diseguali sono tali che esiste un multiplo della minore che supera la maggiore, prevede che si proceda per assurdo, dimostrando cioè che la falsità del postulato implicherebbe l’esistenza di grandezze infinitesimali. L’infinitesimo è, in effetti, una grandezza che non obbedisce al postulato, nella misura in cui un qualunque suo multiplo rimane sempre inferiore a una qualunque grandezza finita data. Tuttavia, questa interpretazione è esposta in questi termini a partire da nozioni a noi familiari, come appunto quella di infinitesimo, perché in verità l’infinitesimo non è mai esplicitamente citato da Archimede, né si trova un riferimento esplicito al limite di un qualsiasi processo illimitato, come ad esempio quello che intende dimostrare la proporzionalità tra due cerchi e i quadrati costruiti sui loro diametri. È quindi in ragione di queste e di simili considerazioni che gli studiosi non sono unanimemente concordi sul fatto che si possa far risalire realmente a Eudosso e Archimede un primo nucleo di ciò che ha condotto fino all’attuale analisi infinitesimale.

Un’altra osservazione, più breve, consiste nel fatto che l’Autore considera le forme aristoteliche principi o “entità” metafisiche che entrano ed escono da una materia inerte (p. 35). Questa prospettiva è probabilmente contaminata da una conoscenza delle origini della chimica (e infatti l’Autore stesso propone subito un parallelo con gli esordi dell’alchimia), ma ha il torto di forzare in senso metafisico l’ontologia aristotelica, spingendosi quasi a trasformare in forme trascendenti e platoniche le essenze degli enti fisici che sono, al contrario, i principi strutturali della materia stessa.

In conclusione, Storia di Jay è un libro adatto a ogni pubblico di lettori: gli esperti vi troveranno materializzati luoghi e persone che normalmente frequentano in un rapporto molto più oggettivo, e ne rimarranno affascinati; chi non ha dimestichezza con la filosofia e con la scienza greca fra IV e III sec. vi troverà il modo più semplice e diretto di averne adeguata informazione; chi da ultimo conserva della filosofia l’opinione di una metafisica in senso deteriore, per cui il filosofo è solo un tale che cammina con lo sguardo all’in sù e rischia di cadere distratto in un fosso meritando la derisione della servetta tracia, si renderà facilmente conto di quali tensioni culturali e di quali portentosi problemi si occupi la filosofia sin dal suo nascere.

Giorgio Montaudo
Storia di Jay
Altromondo editore
Padova 2010
Pagine 95

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