Filottete

Di: Alberto Giovanni Biuso
12 Giugno 2011

 

Attraversando il mare che separa la piana di Troia dall’isola di Lemno, una nave approda in questo luogo solitario, abitato da uccelli e da fiere. Un solo umano ne percorre gli spazi. Un umano solitario che è Filottete, l’eroe acheo al quale il morso di un serpente ha ridotto il piede a fetida cancrena e la voce a un urlo disperato di dolore. Per questo i suoi compagni lo lasciarono dieci anni prima nell’isola, non sopportando il fetore della piaga e lo strazio della gola. Ora però gli achei sono costretti a tornare. Un oracolo ha spiegato che senza l’arco e le frecce di Eracle, possedute da Filottete, Troia non sarà mai espugnata.
 A tramare il furto dell’arco è Odisseo, nemico da sempre dell’eroe solitario, che induce Neottolemo, il giovane figlio di Achille, a presentarsi al malato maledicendo anche lui gli Argivi e lo stesso Odisseo che lo hanno privato delle armi del padre. Conquistata così la fiducia dell’antico amico di Achille, potrà consegnare ai Greci l’arma indispensabile per la vittoria. E tuttavia mano a mano che la menzogna ha successo, Neottolemo sente le proprie parole d’inganno come un insostenibile peso dal quale si sente schiacciato. Confessa dunque a Filottete la trama che lo ha condotto al raggiro. Sorpreso, annichilito, infuriato, Filottete lo maledice chiedendo la restituzione dell’arco. Interviene Odisseo a impedire l’azione dannosa agli achei. Le ragioni di realpolitik del greco più astuto si contrappongono al bisogno di trasparente lealtà di Neottolemo. Saranno queste ultime a vincere, l’arco sarà restituito, accompagnato dall’esortazione a partire comunque insieme per Troia. Testardo, ingannato, furente, Filottete respinge le preghiere del giovane, sino a che appare Eracle a imporre –deus ex machina– al tenace eroe di obbedire a ciò che gli dèi hanno da sempre deciso.

La scena di Maurizio Balò contrappone l’azzurro trasparente del mare al nero perduto dell’isola. Tra le acque e la terra si muove un coro di guerrieri estremamente dinamico, che -scelta efficace- canta in greco le proprie parole. La voce si unisce alla danza e al testo, restando così fedele alla struttura originaria della tragedia greca, un’opera d’arte totale fatta di movimenti del corpo, di note scandite, di versi di per sé intrisi di musica, fatti di canto. Sullo sfondo di tanta bellezza e armonia, emerge lancinante la vicenda di un uomo abbandonato, malato, ingannato più volte. Le parole che Filottete pronuncia accusano non soltanto gli Atridi e gli umani per la loro malvagia menzogna ma anche gli dèi che proteggono chi opera il male e abbandonano le vittime del male, che fanno morire gli eroi più leali e consentono invece di prosperare a chi trama costantemente menzogne. Più volte questo grido disperato, dolente e blasfemo si alza sulla scena, riempita dalla presenza imponente del Filottete di Sebastiano Lo Monaco. Un poco rigido nei movimenti e nella voce mi è parso Neottolemo; crudo e plausibile nella sua ragion di stato appare Odisseo. Perplesso mi ha invece lasciato l’Eracle vestito di una tunica dorata e con una barba chiaramente posticcia. Avrebbe reso meglio l’enigma del semidio lasciarlo avvolto nei fumi -visto e non visto- invece che così palesemente sgargiante.
 Lo splendido luogo che è il teatro dei Greci a Siracusa ha dato ancora una volta l’occasione, con questa messa in scena intensa e musicale del Filottete, di sentire la voce dei pagani nel loro rapporto con gli dèi, fatto di venerazione e di pòlemos, di rassegnazione e di forza, di consapevolezza del limite che ci costituisce ma anche della nostra partecipazione alla vita divina tramite desideri, decisioni, pensieri e anche oggetti, come l’arco che sta al cuore di questa tragedia e la cui presenza il regista sa ben restituire facendone il centro spaziale degli eventi e del testo.

 

Teatro Greco di Siracusa

Filottete

di Sofocle

Regia Gianpiero Borgia

Con Sebastiano Lo Monaco (Filottete), Massimo Nicolini (Neottolemo), Odisseo (Antonio Zanoletti), Salvo Disca e Giovanni Guardiano (capo coro marinai), Giacinto Palmarini (Eracle)

Traduzione di Giovanni Cerri

Scene e costumi di Maurizio Balò

Musiche di Papaceccio, Francesco Santalucia

Sino al 18 giugno 2011


 

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