Corporea / Stare nel corpo

Di: Eugenio Mazzarella
4 Gennaio 2022

 

Sesso. Anche noi abbiamo fatto questo.
Ora non so più se è bisogno o desiderio.
Un modo di tenere in ordine i tendini.
Vedere se ancora turgide le vene.
Se pulsa la carotide il circolo del cuore…
La testa non se ne va.
Resta ferma a guardare
Il groviglio, il gesto, la spinta a sollevarsi
L’inarco delle reni, lo svuotarsi.
Finirà.
Ci siamo stati. Poteva essere diverso.
Nessuna piccola morte.
Solo l’attesa di quella grande, e vera
Unica estasi nel niente.
Quasi da chiedere scusa a chi ci crede.
Bisognerebbe fosse
Una cosa da professionisti, meno vile.
Metto qui quanto vale tutto questo.
Mi alzo, vado via.
È tutto uno scontento,
Una nuda chimica di cose.
Ma almeno lei rimedia, non offesa,
La giornata. Forse bisognerebbe
Smettere quando ancora sei costretto dal cuore
Che ci crede, che accelera
Quando cerchi gli occhi
La bocca, l’anima confusa nel respiro.
Non adesso che è pura biologia.
E pure tutto venne da lì.
Da un battito un impulso,
Anche questo scontento.
Ma forse c’era amore.

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La ragazza che aveva in fronte
La luna e una piccola croce sotto gli occhi,
L’alto e il basso del senso delle cose.
Non toccata, solo vista.
Un attimo, di passaggio.
Forse una festa.
Un vestito leggero aperto sulle forme.
Tremendamente vero tutto.
Un altro mondo, non tuo.
Sei uscito a un altro giro della ruota.
Caduto lontano, in un fuoco di coda
Di cometa.
Brucia più avanti
Questa biglia lanciata nello spazio
L’eone cui appartieni,
Tutto si consuma.
Non ti scegli la fiamma dell’accanto,
Bruci dove bruci
Sarebbe stato meglio non vedere.

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È la mia età che va via.
Girano le ruote di Saturno.
Scrivo. Resto fermo.
Poggio i pensieri.
Mi alzo. Passo ad altro.
Ascolto le notizie. Il più non buone.
Per il resto, solo qualcosa che si vende.
Sorveglio l’andamento della casa.
La notte chiudo le porte.
Tocca ancora a me. Do sicurezza.
Fronteggio l’assalto della cenere

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Non posso è troppo tardi.
Sono circondato di cose.
Dureranno. Dopo il dormiveglia.
Più di me.
Sono le cose l’essenza della casa.
Fatte per questo. Ho contribuito.
Lo stipite. Il battente.
Il solido marmo. Il legno caldo.
Il tavolo. Il bicchiere.
Dove bevo, dipanato il filo
Dell’eterno conosciuto.
Dove celebro il cuore nella mente.
Il senso della sera.

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Era un addio al mondo delle cose.
Mani strette. Carne che ancora sa di esistere.
Qualcosa sulla pelle che si sente.
Ora solo pugni. Chiusi.
Come noce a nascondere il gheriglio
Il seme che è l’ultima cosa.
Che non sa chi potrà addentare la speranza.
Vorrebbe solo un’ultima carezza.
Prima di essere guscio di frantumi.
Buono per la cenere.
Per la gran legna del mondo.

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Conosco la materia del dolore.
L’eterno girare delle cose.
Le parole non dette.
Il frutto amaro. Il nodo del silenzio.
La vena che aperta non dissangua
Che faccia finire la sostanza.
Perché non paghi pegno chi non c’entra.
Mentre ancora batte a terra la mia ombra.


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