I corpi di Cattelan

Di: Alberto Giovanni Biuso
4 Gennaio 2022

 

Lo Hangar Bicocca di Milano, esempio chiarissimo di archeologia industriale trasformata in spazio artistico, è diviso in quattro grandi luoghi, tre dedicati alle mostre temporanee e uno che ospita I sette palazzi celesti di Anselm Kiefer.
I tre luoghi sono denominati Piazza, Navate e Cubo. Si tratta di spazi enormi, che di solito vengono riempiti in parte con opere e installazioni di ogni genere. Stavolta, però, possono essere goduti nel loro vuoto. Rarefatto è lo scandire del cammino (varie centinaia di metri), impassibile il silenzio, quasi sacro il misto di luci e ombre, che diventa esplosione di chiarore soltanto nel terzo luogo, il Cubo.
Quasi al centro della Piazza una scultura –Respiro / Breath– in marmo di Carrara vede distesi a terra e l’uno di fronte all’altro un umano dalla indefinita identità e un cane. Dormono, respirano, stanno. L’umano in posizione fetale. È ignoto se si conoscano o se qualche caso li ha condotti l’uno accanto all’altro. È il marmo che respira dentro il vuoto dentro il buio.
Le Navate sembrano completamente vuote. Ma via via che l’occhio si è abituato all’ombra e al chiaroscuro, si vede che vuote non sono affatto. Le alte colonne d’acciaio, i ponti che collegano il muro esterno al muro divisorio interno, gli angoli che le strutture architettoniche formano, sono pieni di abitatori immobili e dinamici, silenziosi e loquaci, familiari e inquietanti. Migliaia di piccioni in tassidermia riempiono ogni anfratto, lo abitano, lo rendono altro dall’imponente struttura di partenza. Quest’opera si intitola Fantasmi /  Ghosts ma non sempre ha avuto questo nome. Nel 1997 alla 47 Biennale di Venezia si chiamò Tourists, nel 2011 sempre a Venezia 54 Biennale venne denominata Others. Da visitatori di Venezia, da Altri , gli uccelli sono diventati i fantasmi nei quali si incarnano probabilmente gli innumerevoli viventi che nel corso della storia biologica della Terra sono stati e ora più non sono. Non dunque fantasmi soltanto nel senso dei piccioni che abitano le nostre città e che sembra nessuno veda. Forse anche questo ma nel battere e scandire silenzioso delle Navate di Milano questi corpi non più viventi ma ancora presenti, a me sono sembrati i fantasmi della vita che continua in flebile eco dopo essere stata squillante dolore.
Dalle Navate ci si avvicina lentamente al Cubo. Il quale è invece del tutto illuminato e da lontano sembra un monolite enorme e simile a quello di 2001. Odissea nello spazio. E invece una volta entrati per intero dentro il Cubo il monolite di resina che arriva sino al tetto appare una sola cosa con la sagoma di un aereo che in esso è penetrato. Blind / Cieco è il titolo dell’opera. Ciechi a che cosa? Forse all’accadere, alla storia, ai suoi significati, probabilmente così diversi da quelli che l’esplosione urbana di quel’11 settembre sùbito accreditò e che invece saranno resi più chiari dopo che la luce accecante di quell’evento sarà stata diradata dai decenni, dai secoli, dal tempo.
La struttura compatta e monumentale di Blind va comunque oltre il riferimento immediato che inevitabilmente suscita. E può indicare invece l’antica cecità sull’essere che l’unione originaria di matematica e tecnica ha generato nell’Occidente, nelle nostre terre. La forma più radicale di conoscenza, la filosofia, è stata sin quasi dall’origine (quasi con il pitagorico Platone) la coniugazione di una autentica fede nella struttura regolare del cosmo leggibile in simboli matematico/geometrici e della dimensione fattiva e trasformatrice della ποίησις umana, della tecnica.
L’affermazione heideggeriana per la quale «su questa terra noi rimaniamo insediati nel relativo»1 può significare che su questa terra noi rimaniamo sempre insediati nella cecità ed è anche per questo che «la tecnica non si lascerà mai padroneggiare, né in termini positivi né negativi, da un fare umano basato solo su se stesso. La tecnica, la cui essenza è l’essere stesso, non si lascia mai superare dall’uomo, poiché ciò significherebbe che l’uomo è il padrone dell’essere»2.
Se il pensare, se la teoresi nella quale siamo nati e cresciuti come singoli e come continente ha avuto sin dall’inizio una struttura tecnologica, la dismisura stessa di questa pretesa potrebbe costituire la conferma che l’irrazionale «rimane sempre e soltanto il figlio nato morto del razionalismo» e «ciò che vuole soltanto rilucere non illumina»3. È a partire da un’altra luce –da Heidegger chiamata Lichtung, radura che si apre nell’oscuro di un bosco- che è opportuno osservare il divenire. Avvicinandosi a Blind dalle Navate dello Hangar Bicocca sembra proprio che rispetto al buio degli spazi precedenti si apra una radura, la cui luce percuote e ironicamente, alla fine, fa sorridere.

 

Note
1 M. Heidegger, Conferenze di Brema e Friburgo, (Bremer und Freiburger Vorträge. 1. Einblick in das was ist 2. Grundsätze des Denkens, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1994; volume LXXIX della «Gesamtausgabe», a cura di P. Jaeger); edizione italiana a cura di F. Volpi; trad. di G. Gurisatti, Adelphi, Milano 2002, p. 218; il corsivo è di Heidegger.
Ivi, p. 98.
3 Ivi, pp. 176 e 125.

 

MAURIZIO CATTELAN
Breath Ghosts Blind
Hangar Bicocca – Milano
A cura di Roberta Tenconi e Vicente Todolí
Sino al 20 febbraio 2022

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